Raid Nato: uccisi 6 bambini

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E continua a mietere innocenti vittime civile. Sabato sera a constatare tragicamente la distanza tra le dichiarazioni formali e la realtà  è stata un’intera famiglia della provincia di Paktia, al confine tra Afghanistan e Pakistan: Mohammed Shafi, sua moglie e i loro sei figli sono morti dentro casa, nel villaggio di Sar Khilo, sotto le bombe delle forze Isaf-Nato. Dal quartier generale dell’Isaf, sono arrivate le consuete rassicurazioni per un’inchiesta rigorosa. E lo stesso Karzai ha inviato una delegazione sul luogo dell’incidente, come già  fatto in seguito alla strage di Kandahar dell’11 marzo, quando il sergente americano Robert Bales ha ucciso 16 civili inermi nel cuore della notte. È di pochi giorni fa, invece, la notizia di un raid aereo della Nato nella provincia di Badghis, che ha causato l’uccisione di 14 civili; pochi giorni dopo un simile episodio è avvenuto in Helmand, dove a finire sotto le bombe della Nato sono stati una donna e cinque bambini. Nessuno dei membri della famiglia colpita sabato a Sar Khilo avrebbe avuto legami con i Talebani o con altri movimenti antigovernativi, ha dichiarato Rohulla Samoon, portavoce del governatore di Paktia, che ha sottolineato il punto «politico» della questione: «Le forze di sicurezza afghane non sono state informate dell’operazione. Se lo avessero fatto, tutto questo non sarebbe accaduto». Il punto è delicato: Karzai ha accettato di firmare l’accordo di partenariato strategico di lungo periodo con gli Stati Uniti soltanto dopo aver raggiunto l’intesa sul memorandum dedicato alle operazioni speciali. Un documento che stabilisce che spetta agli afghani, e non agli americani, decidere e condurre le operazioni speciali e i raid notturni. Nella pratica, gli afghani si accontenterebbero di essere informati. Per ora, le cose continuano comunque a procedere come in passato. Per questo Karzai ieri ha provato a fare la voce grossa, lasciando intendere che, se gli «alleati» non si decideranno a prestare maggiore attenzione ai civili, è a rischio l’accordo bilaterale sulla sicurezza che Afghanistan e Stati Uniti dovranno firmare nei prossimi mesi. 
A far arrivare a Washington un messaggio ancora più chiaro, ci ha pensato il ministro degli Esteri afghano, Zalmai Rassoul: ieri ha annunciato l’avvio dei colloqui con la Turchia e la Cina per firmare accordi di partenariato. Quello con la Cina verrà  probabilmente siglato il 6-7 giugno al vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shangai, a cui l’Afghanistan partecipa come osservatore. Rassoul ha inoltre annunciato per metà  giugno a Kabul un nuovo incontro delle potenze regionali, dopo quello di Istanbul del 2 novembre scorso. I Talebani gli hanno replicato: «Se fosse possibile risolvere la questione afghana con delle conferenze, ciò già  sarebbe avvenuto». Per i turbanti neri non servono gli incontri diplomatici. Serve soltanto «rispettare la sovranità  della nazione afghana».


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