Quei tremila primari di troppo “Uno su sei perderà  l’incarico”

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Un incarico di prestigio e responsabilità . Il nome fuori dal reparto, la fama che porta clienti in libera professione ma anche la difficoltà  di organizzare l’attività  dei propri medici tra tagli alla sanità  e pazienti sempre più battaglieri. Sui primari si abbatterà  un riduzione senza precedenti. Per ministero e Regioni quasi 3mila sono da eliminare. Ad indicare la strada è un documento del comitato che valuta gli standard organizzativi di Asl e ospedali composto da esperti di Regioni e ministeri della salute e dell’economia. Intanto si individua il numero di primariati adesso presenti nelle varie Regioni: 19mila. Ci sono quelli ospedalieri come la chirurgia o la medicina interna (12mila) e quelli territoriali, cioè gli uffici di igiene, i servizi contro le dipendenze, la psichiatria ed altri ancora. I tecnici dettano quali criteri seguire: un primario ospedaliero deve avere almeno 17,5 letti, uno territoriale deve lavorare su un’area dove vivono almeno 13.500 persone. Le Regioni si metteranno in regola tagliando circa 1.100 responsabili delle unità  operative degli ospedali e 1.800 di coloro che lavorano fuori. Per farlo andranno preparati, ad esempio, piani per non sostituire il primario che va in pensione e accorpare il suo reparto ad un altro. Del resto già  oggi ci sono moltissime unità  operative, anche più del 20% del totale, dirette da un facente funzioni in attesa che si svolga il concorso. 
La stretta riguarda anche i direttori delle “strutture semplici”, cioè medici responsabili di settori particolari dei reparti che però non sono primari. In Italia ce ne sono la bellezza di 35mila, di cui 15mila vanno tagliati. 
Nel documento, che parla di «finalità  di contenimento dei costi» e razionalizzazione, si spiega che le 8 Regioni con piano di rientro per i conti in rosso (Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) devono emanare entro il 31 dicembre 2012 direttive per «contenere il numero delle strutture semplici e complesse (i reparti, ndr) entro i limiti previsti dagli standard». Qualcuno si sta già  muovendo. Nel Lazio che ha 241 primari più del previsto, il San Filippo Neri di Roma ha comunicato la soppressione di 6 strutture complesse e 54 semplici, come spiega Stefano Mele della Cgil. Alle Regioni che invece hanno bilanci a posto «ai fini della verifica degli adempimenti, a partire dal 2012 sarà  chiesto di relazionare in merito alle iniziative adottate ai fini di adeguamento graduale ai predetti standard». Non c’è un termine perentorio ma l’indicazione di mettersi comunque in regola. Chi faticherà  più di tutti è la Campania, che ha la bellezza di 795 primariati di troppo. La Lombardia invece rispetta già  i canoni e anzi teoricamente dovrebbe assumere. 
Massimo Cozza, segretario di Cgil medici, ha studiato attentamente i dati. «È inaccettabile l’azzeramento automatico di migliaia di strutture con criteri ragionieristici, senza tenere conto delle prestazioni essenziali per i cittadini e senza un confronto sindacale», attacca. Cozza riconosce comunque la necessità  di alcune razionalizzazioni. «Certamente non sono più tollerabili unità  operativa complesse con pochi letti, come accade nei policlinici universitari, né che la maggioranza dei medici di qualche reparto abbia incarichi di struttura semplice a discapito economico e professionale di altri colleghi che fanno lo stesso lavoro. Non vorremmo inoltre che per salvaguardare le baronie si lascino in vita piccole strutture, aumentando i numeri di altre per rispettare la media di 17,5 letti a primario». Giovanni Monchiero, presidente di Fiaso, la federazione delle Asl, dice: «Può darsi che ci siano troppi primari. In qualche caso si è cercato di accontentare le persone più che organizzare in modo opportuno gli ospedali. Non bisogna però attaccare la categoria, che ha qualche privilegio e grandi responsabilità ». Monchiero punta il dito verso i policlinici. «Con la necessità  delle facoltà  di Medicina di dare posizioni apicali ai professori si sono creati molti reparti. Per risparmiare davvero bisognerebbe fare un’altra cosa: tagliare gli ospedali».


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