Quanto ci costerà  l’exit strategy

by Editore | 20 Maggio 2012 13:47

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Uno degli argomenti principali in discussione al summit della Nato di Chicago è l’Afghanistan. Per i diplomatici, si tratta di definire i dettagli del ritiro dei militari della missione Isaf-Nato, il tipo di impegno che la Nato vorrà  assumersi nella fase successiva al ritiro (che avverrà  nel 2014), l’assistenza da fornire al governo locale. Per i commentatori più smaliziati, si tratta di decidere la strategia migliore per incassare l’insuccesso politico e diplomatico senza ammettere la sconfitta. Un’agenda ambiziosa. E molto contrastata: si litiga soprattutto su chi dovrà  assumersi i costi per mantenere e addestrare le forze di sicurezza locali. I numeri sono alti: oggi sono 337 mila i membri delle forze afghane; saranno 352 mila il prossimo ottobre. Secondo quanto dichiarato dal ministro afghano della Difesa, Abdul Rahim Wardak, la Nato ha intenzione di ridurre a 228.500 gli effettivi già  nel 2015. Se la cifra fosse questa, la spesa complessiva annuale sarebbe di 4,1 miliardi di dollari. Nelle settimane scorse gli americani hanno detto di poterne coprire quasi la metà : 1.8 miliardi di dollari. Cinquecento milioni arriveranno dal governo afghano, che aumenterà  la propria quota ogni anno del 5%. Il resto dovrà  venire dagli altri paesi, che per il segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, dovrebbero racimolare 1 miliardo e 300 milioni. Secondo quanto riportato nei giorni scorsi dal New York Times , già  a gennaio l’amministrazione Obama avrebbe fatto circolare un vero e proprio listino dei costi: al Canada spetterebbero 125 milioni di dollari; alla Finlandia 20; alla Francia 200; alla Svezia 40. Da parte loro, gli inglesi hanno già  annunciato di voler sborsare solo 110 milioni all’anno, causando l’irritazione di Washington. Più generosi i tedeschi: mercoledì la cancelliera Angela Merkel ha firmato con il presidente Karzai un accordo di partenariato, che prevede anche il finanziamento per le forze afghane di 150 milioni di euro l’anno (che si sommano ai 100 milioni di dollari per tre anni accordati giorni fa dall’Australia). Ma gli europei sono riluttanti ad aprire i cordoni della borsa: devono affrontare una crisi economica ben più grave di quanto previsto, oltre che un’opinione pubblica maldisposta a finanziare la guerra. E sono critici verso la visione limitata della Nato e degli americani, tutta incentrata sulla sicurezza. A discapito dell’altra grande questione, quella che a partire dal vertice sull’Afghanistan di Bonn dello scorso dicembre va sotto il nome di «trasformazione»: come consolidare il quadro istituzionale ed economico afghano, ancora troppo fragile. Su questo, le idee continuano a essere confuse. E la parola d’ordine è tergiversare, almeno fino alla Conferenza sull’Afghanistan dei paesi donatori, che si terrà  nel luglio prossimo a Tokyo. Sembra deciso, invece, Obama, a far uscire da Chicago la data simbolo del 2013, per segnare un cambiamento: da metà  del 2013 le forze Isaf-Nato passerebbero da un ruolo operativo, di combattimento, a uno di mero sostegno alle forze locali. Benché tutti continuino a negarlo, si tratta di un’accelerazione dei piani stabiliti nel vertice Nato di Lisbona, nel novembre 2010. Un’accelerazione annunciata a mezza bocca a più riprese, poi resa esplicita da Obama e dal premier britannico David Cameron nella conferenza stampa alla Casa Bianca del 14 marzo scorso. Qualcuno si aspetta che venga «protocollata» a Chicago, nonostante la resistenza dei generali sul campo. La Nato e gli americani, dunque, hanno fretta. E nella fretta – denuncia Barbara Stapleton in un rapporto pubblicato due giorni fa dall’«Afghanistan Analysts Network» di Kabul – dimenticano che la transizione deve procedere di pari passo con il rafforzamento della governance e della ricostruzione. Se questo non avviene, «aumenta il rischio che lo Stato afghano crolli, insieme alla prospettiva di un fallimento strategico per la Nato». Il giudizio di Barbara Stapleton, già  consigliera politica per il Rappresentante speciale europeo per l’Afghanistan dal 2006 al 2010, è netto: «Nella fretta di ritirarsi dal pantano che è diventato l’Afghanistan, gli Stati uniti e gli altri stati membri della Nato potrebbero preparare il terreno per maggiore instabilità , anziché diminuirla».

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