QUANDO LE MAPPE DIVENTANO ARTE

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Carte come arte. Geopolitica come emozione artistica. Insomma: geoarte. Esperimento inedito, che porta la geopolitica nel tempio romano dell’arte contemporanea, il MAXXI. Qui dal 15 maggio al 19 giugno saranno visitabili alcune opere di Laura Canali, che da quasi vent’anni disegna le carte della nostra rivista di geopolitica Limes. Un’antologia delle mappe limesiane a colori e una mappa-pilota originale, segnate dalla contaminazione fra cartografia geopolitica e grafica artistica, e dedicate alle “Frontiere come ferita”. Spunto per due seminari pubblici cui insieme ad alcuni artisti (Adrian Paci, Botto e Bruno) parteciperanno fra gli altri studiosi, politici e giornalisti come Andrea Riccardi, Enrico Letta, Lilli Gruber, Yasemin Taskin. 
La mostra muove dalla contemporanea esposizione di Plegarà­a Muda, opera dell’artista colombiana Doris Salcedo dedicata alle vittime delle stragi che hanno devastato il suo paese, segmentato da frontiere invisibili quanto sanguinose. Frontiere “dolorose”, appunto, che in sempre più ampie regioni del pianeta – nessun continente escluso – marcano territori contesi o fuori controllo. E di cui Limes, co-organizzatrice dell’evento, tenta di offrire non solo un’analisi aperta a tutte le voci in campo, ma anche una rappresentazione cartografica originale. Migliaia di mappe di varia foggia e specie, che non solo sostengono il ragionamento geopolitico degli articoli, ma ne costituiscono la base. Giacché, a rigore, in geopolitica non è la carta che illustra il testo, ma il contrario. Il vincolo della rappresentazione spaziale è ineludibile, a presidiare il confine spesso poroso con le scienze politiche e sociali.
Questo genere di cartografia vuole disegnare sul piano l’intersecarsi delle dinamiche, delle rivendicazioni, delle poste in gioco nei conflitti attuali. Non si pretende neutrale né oggettivo. Né tantomeno scientifico. Ogni mappa, riducendo le tre dimensioni dei territori sulle due della carta (dello schermo tv, del computer, dell’Ipad…), è una deformazione della realtà . Ciò che il geografo Mark Monmonier, nel suo seminale How to Lie with Maps, definiva “il paradosso cartografico: per presentare un’immagine utile e veritiera, una mappa accurata deve raccontare bugie”. Dove le menzogne rivelano i punti di vista, le aspirazioni, gli obiettivi di chi le produce, commissiona o ispira.
Nelle “frontiere dolorose” di Laura Canali l’interpretazione delle dinamiche geopolitiche esalta l’emozione artistica. E viceversa: l’arte rivela progetti nascosti, di cui perfino gli autori non sono perfettamente (razionalmente) consapevoli. Come scrive Viviana Vergerio Guerra presentando la mostra, le “frontiere dolorose” – dal Caucaso al Rà­o Grande, dalle periferie delle metropoli europee a Gerusalemme – sono “linee di confine erette per chiudere e allontanare, come i segni di una ferita sulla pelle”. 
Simbologia e colore sono da sempre le “spie” più visibili dei codici geopolitici di una carta. In questa geoarte la loro funzione è esaltata, nel senso che Wassily Kandinsky indicava un secolo fa nella sua indagine sullo spirituale nell’arte: “Il colore è un mezzo per influenzare direttamente l’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima”. 
Il generale David Petraeus, oggi direttore della Cia, ha teorizzato che i conflitti non si vincono più sul campo di battaglia, ma su quello della narrazione. Vince chi li racconta meglio. Chi li presenta meglio al suo pubblico. Potremmo aggiungere: chi li disegna meglio. Se Sun Tzu (Sunzi) rinascesse, forse traccerebbe su un papiro di bambù un’appendice alla sua Arte della Guerra: “La guerra dell’arte”.


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