“Suicidi, nessuna emergenza dovuta alla crisi”

by Sergio Segio | 10 Maggio 2012 14:31

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ROMA – «Non c’è nessuna emergenza suicidi dovuta alla crisi economica». Il sociologo Marzio Barbagli la mette giù così, quasi brutalmente, con la sicurezza di chi ha in tasca le statistiche corrette. Epurate cioè da interpretazioni fuorvianti o da ondate emotive. I 38 suicidi tra piccoli imprenditori contati dalla Cgia di Mestre dall’inizio dell’anno ad oggi sono un dolore per le famiglie, ma «non rappresentano un’anomalia a fronte delle 1300 persone circa che nello stesso periodo si sono tolte la vita in Italia. I suicidi in questa categoria sociale c’erano anche negli anni passati, più o meno con la stessa frequenza».
A sostegno del suo ragionamento, Barbagli porta i dati delle autorità  sanitarie sulle cause di morte in Italia e in Grecia. Il tasso di suicidio nel nostro Paese nel 2009 era 6,6 – cioè 6,6 casi ogni 100 mila abitanti – per un totale di circa 3800 all’anno. In linea con gli anni precedenti. In Grecia nel 2009 il tasso era ancora più basso, intorno al 3,5. «E non ci sono evidenze scientifiche che provino un qualche aumento – sostiene Barbagli – Italia e Grecia sono i Paesi più aggrediti dalla crisi, ma anche quelli dove ci si suicida meno rispetto al resto d’Europa». Le statistiche così ricavate però si fermano, attualmente, al 2009. «È vero – osserva Barbagli – ma le difficoltà  economiche partono già  nel 2008 con il caso Lehman. In Grecia nel 2009 il pil calò di 5,4 punti, la disoccupazione passò dal 7,7 al 9,5 per cento. Eppure i suicidi furono 391, meno del 2006».
E in questo senso va anche l’ultima indagine dell’Istat, pubblicata sull’edizione online di Wired. È basata su una fonte diversa, il presunto movente indicato dalle Forze dell’ordine. Nel 2010 l’Istat ha contato così 3048 suicidi, di cui 1412 per malattia, 324 per cause affettive e 187 per motivi economici. L’anno precedente con la stessa motivazione ne erano stati classificati di più, 198 su 2986 casi. Nessuna epidemia suicida in corso, dunque.
Eppure non tutti sono d’accrodo. Il Secondo Rapporto Eures parla chiaramente di aumento «esponenziale dei suicidi per assenza di un’occupazione nel periodo che va dal 2006 al 2010». Da una media di 270 nel triennio 2006-2008 si sarebbe passati ai 362 casi nel 2010. Ma è ancora il professor Barbagli a cancellare tutte queste cifre dalla lavagna.
«Gli studi basati sul movente indicato dalle Forze di polizia – dice – risultano inaffidabili perché sottostimano il fenomeno di un 25 per cento. E chi va a fare i rilievi sul cadavere offre per forza di cose un’indicazione grossolana del motivo del suicidio». Che non è mai unico, ma è il risultato di una serie di fattori scatenanti spesso tenuti nascosti, quali depressione, situazioni familiari difficili, salute precaria. L’impulso ad aggrapparsi alla crisi per spiegare un suicidio per certi versi è una reazione umana, che rende il gesto più accettabile.
L’ultima bacchettata di Barbagli è per giornali e televisioni. «Dare risalto a queste storie porta all'”effetto Werther”, dal nome del protagonista suicida del libro di Goethe. Alla fine del diciottesimo secolo, alcune persone si uccisero e furono ritrovate con quel libro in mano. Oggi ci sono 56 studi internazionali che dimostrano l’effetto emulazione. Nasce proprio dal modo in cui vengono diffuse queste notizie. Agisce non su chi già  valutava il suicidio, ma su chi non ci pensava affatto. I media, tutti, dovrebbero essere più responsabili».

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