LA SFIDA DILETTANTE “SALVIAMO I LIBRI CON UN’IDEA FOLLE COME IL CASHMERE IN LAVATRICE”
Devo riconoscere che Edoardo Nesi riesce a sorprendermi. E non per quel fisico prestante, da mangiafuoco, che nasconde l’animo dello scrittore di talento. Sorprende per quella sua genuina follia che sembra animare i prossimi progetti, del resto già annunciati dalla Fandango. L’autore di Storia della mia gente (premio Strega 2011) è il nuovo coordinatore della casa editrice fondata dal produttore cinematografico Domenico Procacci.
Fandango libri è un oggetto un po’ misterioso. Finora ha sculettato con seducente grazia. Ha prodotto qualche bella iniziativa. Ha quel cavallo di razza che risponde al nome di Sandro Veronesi, un gruppo di teste libere (e un po’ matte) che sanno muoversi con tempismo tra narrativa e saggistica (bellissima la serie dei Paris Review). E poi c’è Alessandro Baricco. Ci sono i bravissimi Mario Desiati, Luca Pavolini, Laura Paolucci. Insomma: ti aspetteresti sfracelli. Magari li avrebbero fatti a Londra o a New York. Ma qui stentano. Ecco allora l’idea di prendere “Mangiafuoco” e gettarlo nell’arena. Tra i leoni della crisi che stanno sbranando l’editoria italiana.
Caro Nesi, chi glielo ha fatto fare?
«Bella domanda. C’è alla Fandango la pretesa, inconsueta e forse ingenua, che lo scrittore riesca alla fine a saperne di più del professionista che nei libri ci lavora da una vita».
I libri non basta saperli scrivere, bisogna anche saperli vendere.
«Allora mettiamola così: non so se uno scrittore sia la scelta giusta per guidare una casa editrice, ma sono stato anche un po’ imprenditore e lo rimarrò sempre. Perciò quello che vorrei fare è mettere insieme alcuni punti di forza che ci sono alla Fandango e farli crescere».
A quali pensa?
«Intanto al fatto che nella Fandango c’è un gruppo di scrittori – Veronesi, Baricco, Lucarelli e altri – in grado di portare qualcosa di più del semplice suggerimento su un libro da pubblicare o su una prefazione da scrivere».
Li ha sentiti, consultati, prima di gettarsi in questa avventura?
«Ho parlato separatamente con ciascuno di loro, tranne che con Lucarelli che è imprendibile. Ho chiesto di dirmi fuori dai denti cosa ne pensassero. Mi hanno incoraggiato. Il progetto è piaciuto».
Mi pare il minimo. In concreto cosa accadrà ? Baricco per esempio continuerà a dare i suoi libri più importanti alla Feltrinelli?
«Con Alessandro siamo amici. Ma non posso dirgli: da domani i libri che scrivi li dai a me. Non funziona così».
E come funziona?
«Devi dimostrare di meritarteli i libri degli altri. Devi saper competere».
Lei Nesi è un autore Bompiani. Continuerà a scrivere per quella casa editrice?
«Vorrei essere chiaro: per me conta molto il rapporto personale. Sono legato più che alla Bompiani al suo editor, Elisabetta Sgarbi. Ed è un rapporto stretto. Nato anche dal fatto che lei non ha mai fatto storie, anche quando i miei libri vendevano tremila copie. E se ora ne vendo trecentomila, non sarò certo io a dirle addio. Ai miei occhi contano molto la coerenza e la fedeltà . Ma non vorrei parlare di me».
Parliamo allora della nuova sigla che lei dirigerà : la Fandango Editore, che affianca la Fandango Cinema.
«È un piccolo gruppo editoriale che Domenico Procacci ha messo insieme con grande fantasia. Si compone oltre che dalla Fandango da Coconino Press, Alet, Playground, Orecchio Acerbo e Becco Giallo. Si spazia dalla narrativa alla saggistica, al fumetto, al graphic novel, ai libri per l’infanzia».
Che fatturato complessivo produce tutto questo?
«Fandango libri da sola oscilla tra un milione e otto e due milioni di fatturato. Le altre, tutte assieme, un po’ più di un milione».
Bene. Lei scende in campo per fare concretamente cosa?
«Innanzitutto cercherò di spiegare che non sono il lupo cattivo che vuole cambiare tutto. Il mio compito non è di snaturare l’esistente. E all’inizio vorrei soprattutto ascoltare gli altri».
Lei si sta dimostrando un maestro del dribbling. Le faccio una domanda più diretta: Mario Desiati continuerà a dirigere la narrativa italiana?
«Assolutamente sì. È un punto di forza della casa editrice. Come del resto lo è Tiziana Triana per la saggistica. Io svolgerò un ruolo di coordinamento del gruppo. Non sono qui ad imporre i libri da pubblicare. Vorrei però provare a dare un senso più industriale al gruppo senza stravolgerne l’identità . Vorrei una maggiore attenzione agli utili».
Oggi quasi tutte le case editrici sono in perdita. E cominciano a tagliare sui costi. Lei che farà ?
«Per lavorare semplicemente sui costi non c’era bisogno di una figura come la mia. Taglieremo, se ci sono, le spese inutili. Non vogliamo mandare via nessuno. E ritengo che l’obiettivo fondamentale sia lavorare sul prodotto, cioè sul libro».
Ha già un’idea di cosa vorrà pubblicare?
«Intanto una maggiore attenzione al contemporaneo. A volte c’è un gran ritardo tra pensare il libro, scriverlo e il momento in cui finisce nelle mani del lettore».
Ma un libro che approfondisca un argomento ha bisogno di tempi anche lunghi. O sta pensando all’Instant Book?
«È un genere che a me non piace. Se si ragiona sul contemporaneo, che non è necessariamente l’attualità , occorre sapere che ci deve essere un nesso forte tra l’argomento trattato e la realtà . Pensi a quanto poco sia esplorato il mondo dei giovani. Di solito lo si confina sotto un’estetica incomprensibile, provocatoria o marginale. Vorrei che si cominciasse a prestare maggiore attenzione a quelle voci che a noi sembrano arrivare da un altro pianeta. Poi, concretamente c’è la nuova collana di biografie che partirà alla fine di maggio».
È un genere molto anglosassone che in Italia non ha un grande riscontro.
«Lo so. Per ora faremo tre libri fino alla fine dell’anno. Molto accurati, con traduzioni che in futuro vorremmo fossero quasi sempre di scrittori. Cominciamo con Timothy Leary, Jane Mansfield, e Axl Rose il leader dei Guns N’ Roses».
Quando dice: un nesso tra l’argomento e la realtà a cosa pensa?
«Anche a quelle suggestioni che il reale provoca. Una storia, poniamo, come quella del comandante Schettino, ora che la situazione si è calmata, messa in mano a uno scrittore sarebbe un racconto straordinario. Oppure mi viene in mente il Trota: una meravigliosa tragedia greca nella vischiosità lombarda di oggi. Ci concentriamo moltissimo sul futuro del libro, l’e-book eccetera. Giustissimo. Ma in libreria, o nei cataloghi che trovi in Internet, io voglio delle storie che mi appassionino e mi rappresentino».
Ma il pubblico di lettori al quale pensa è quello che legge i suoi libri?
«No, perché quelli che leggono i miei libri sono spesso persone che è perfino difficile definire lettori. Gente che magari compra un libro l’anno e ha saputo da canali diversi da quelli consueti che un signore ha raccontato una storia su una comunità spossessata dalla crisi economica».
A proposito di crisi, quella del libro non scherza. Non le sembra che abbia poca esperienza per affrontare un periodo così difficile?
«Posso dirle che dalla decadenza del tessile, impresa dalla quale provengo, ho imparato qualche lezione. La prima è che a un certo punto le strade consuete come ti hanno portato al successo, così improvvisamente ti possono condurre alla rovina. La capacità di prevedere e rinnovarsi è fondamentale. Credo che valga anche per l’editoria. Poi, quando si comincia un’impresa si compie un atto di suprema irrazionalità . Nessuno sa in anticipo se andrà bene o male. Occorre essere umili, pratici e anche un po’ folli».
La sua azienda tessile era di Prato. L’ha ceduta quando?
«La mia famiglia l’ha venduta nel 2004. Prima della vera crisi. So che chi l’ha acquistata l’ha messa quest’anno in liquidazione».
Cosa prova?
«Tristezza. La crisi ha divorato molte cose. Posso dire di essermi salvato facendo anche altro».
Scrive romanzi, ha girato un film, ha fatto l’assessore, ha tradotto Infinite Jest di David Foster Wallace. Non si è risparmiato.
«No, se è per questo ho tradotto anche Stephen King e Ken Kalfus. Sto finendo la traduzione de Il grande Gatsby. E ora il salto dall’altra parte: nell’editoria attiva».
Si sente più un kamikaze o un dilettante di talento?
«Le racconto un fatto. Mio suocero cominciò a fare tessuti negli anni Sessanta. E allora tutti facevano le stesse cose. Tutti lavoravano con la flanella. Lui un giorno prese una gabardina di cashmere, che si fece tessere dai suoi telai, e la buttò in lavatrice. Sei un pazzo, un dilettante! Gli gridarono. E volevano impedirgli di rovinare un tessuto».
E invece?
«E invece da quel gesto nacque quell’aspetto un po’ lavato che è diventato un classico. E oggi c’è ovunque. Nessuno sa chi l’ha inventato. Fu mio suocero. I kamikaze sono stupidi: fanno contemporaneamente male a se stessi e agli altri. Meglio essere un buon dilettante. Come mio suocero, spero».
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