“Non vogliamo morire per l’Europa” e la sinistra radicale conquista i greci
ATENE – La tana del lupo che fa tremare l’Europa e i mercati è un ufficio quattro metri per quattro, sei rose rosse e una decina di garofani in un vaso, la fedele segretaria Kostandina al lavoro e – alla parete – un manifesto della Giornata nazionale della gioventù cubana del 1997. La Grecia ha fatto harakiri. Il voto del 6 maggio non è servito a nulla, il Paese torna alle urne. E se i sondaggi saranno confermati, Alexis Tsipras – inquilino di questa stanza grigia al settimo piano di Elefterias 1 (Piazza della libertà , a volte il caso…) potrebbe essere l’uomo che cambierà per sempre il destino di Atene e quello dell’euro.
«E’ il nuovo Andreas Papandreou, lo rivoterò», garantisce entusiasta Pangiotis Mantzavelaki, anziano militante venuto fin qui per complimentarsi con lui. «E’ un giovane ambizioso ubriaco del suo successo», racconta in camera caritatis un autorevolissimo ministro socialista dell’ex governo Papandreou. Una cosa è certa: il 38enne carismatico leader di Syriza – la sinistra radicale anti-austerità che ha trionfato alle ultime elezioni quadruplicando i voti – è il grande favorito della nuova campagna elettorale trasformata da tre anni di crisi in un referendum pro o contro l’euro. «Come finirà ? Non lo so – ammette preoccupato lo scrittore Petros Markaris tirando una boccata dall’immancabile pipa al tavolo del suo ristorante preferito a Kessariani – I greci vogliono voltar pagina su un passato da dimenticare. Ma spero che le urne-bis non trasformino il nostro futuro in un salto nel buio».
L’esito, in effetti, è incertissimo. Il fischio d’inizio arriverà solo oggi. Quando il presidente della Repubblica Karolos Papoulias, deluso per non essere riuscito a varare un governo d’unità nazionale, affiderà l’interim a un reggente incaricato di portare la Grecia al voto. Data probabile: il 10 o (più probabilmente) il 17 giugno. Poi partirà la bagarre. Tsipras, scommettono tutti, rafforzerà la sua posizione come stella polare (rigorosamente senza cravatta) del fronte anti-euro. Un’armata Brancaleone che va dalla sinistra più frammentata d’Europa – ad Atene ci sono quattro partiti comunisti – fino alla destra nazionalista degli Indipendenti greci e ai filo-nazisti di Chrysi Avgi. Sono i grandi vincitori del 6 maggio. Uniti da una sola cosa – cancellare il memorandum lacrime e sangue imposta dalla Trojka in cambio di 130 miliardi di aiuti – ma divisi su tutto il resto. Syriza – che per i sondaggi potrebbe diventare il primo partito con il 20-23% – ha le idee chiare: «Vogliamo mettere assieme tutta la sinistra compresi i verdi e le formazioni minori che non sono entrate in Parlamento», spiega l’ex deputato Vassilis Moulopoulos. L’euro? «Ci rimaniamo, ma ridiscutendo da zero il memorandum». Le due cose piacciono alla pancia del Paese (il 75% dei greci vuol restare nella moneta unica) ma sono in apparenza incompatibili. Tsipras però è certo che la Ue – pur di non far tornare Atene alla dracma – sarà costretta a venire a patti dopo le elezioni per non far crollare tutto il continente. E conta su un aiutino in questo senso dal nuovo presidente francese Francois Hollande.
Il fronte pro-euro invece è l’esercito un po’ incerottato (a Bruxelles incrociano le dita) uscito malconcio dal 6 maggio: il centrodestra di Nea Demokratia e i socialisti del Pasok, puniti per aver governato ilPaese per 38 anni, spingendolo nel baratro e poi cercando di rimetterlo in piedi con una cura da cavallo (-25% gli stipendi, -20% le pensioni) che ha fatto calare del 20% in un quadriennio il Pil. I loro consensi sono scesi dal 77,3% del 2009 al 33% di 10 giorni fa. Cosa cambierà un mese dopo? «Contiamo nel calo di un’astensione arrivata al 35% – dicono a Nd – e nell’effetto Tispras: il timore di un trionfo di Syriza potrebbe ridurre la dispersione dei voti a destra consentendoci di rimanere il primo partito». Obiettivo: unire le forze con i socialisti oppure con le altre forze di centrodestra – i due partiti liberali stanno alleandosi per arrivare al 3% necessario per entrare in Parlamento – per un governo che tenga il Paese nella moneta unica. Il Pasok di Evangelis Venizelos invece – crollato a maggio dal 43 al 13% – pare destinato a pagare un altro pedaggio salato agli ultimi tre anni di governo Papandreou.
Comunque vada a finire, per la Grecia sarà un mese di calvario. Il Pil nel primo trimestre 2012 è sceso di un altro 6,7%. Gli accordi con la Trojka prevedono 11,5 miliardi di nuovi tagli a giugno, senza i quali non arriveranno i 30 miliardi di aiuti previsti a fine mese per ricapitalizzare le banche e pagare stipendi e pensioni. Il denaro ad Atene è già merce rara. Ieri, in un solo giorno, i risparmiatori hanno ritirato dalle banche 700 milioni di euro. Solo l’Iran, secondo indiscrezioni, vende greggio a credito all’Hellenic Petroleum. Tutti gli altri fornitori vogliono essere pagati in contanti. Gli istituti di credito hanno chiuso i rubinetti e non finanziano più nemmeno le blue chip quotate in Borsa, scrive oggi Ekathimerini. Ieri Atene ha rimborsato al 100% un bond da 450 milioni in mano agli hedge fund per evitare il default. E Syriza è già partita all’attacco: «Si danno i soldi agli speculatori e si fanno morire di fame i greci». La campagna elettorale è iniziata. L’Europa la seguirà con il fiato sospeso.
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