“Mladic, ora pentiti” Le donne di Srebrenica in aula contro il boia

by Editore | 16 Maggio 2012 8:52

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L’AJA – In quel lontano giorno di luglio che le portò via figlio, marito e due fratelli, Fadila era così vicina a Mladic da sentire distintamente quelle parole – “Fratelli serbi, questa è la vostra grande occasione, sfruttatela appieno” – che da allora, e sono passati diciassette anni, le hanno tolto il sonno. L’inequivocabile ordine di non fare prigionieri, la licenza di uccidere. In una parola: il via al massacro di Srebrenica. 
Oggi Fadila è qui all’Aja per la prima udienza del processo a carico di quell’uomo, l’ex comandante militare delle forze serbo-bosniache, Ratko Maldic che ha spezzato la vita di lei e migliaia di altre donne come lei. «Vendetta? No, non è quello che voglio. Mi basta soltanto vedere che quell’assassino, che si sentiva un dio mentre incitava alla strage, abbassi finalmente gli occhi e provi qualcosa di simile a un pentimento». Tutto qui. «Perché niente e nessuno – dice Fadila – potrà  più ridarci ciò che abbiamo perso». Forse l’hajduk, il patriota, l’eroe di mille imprese, il guerriero – Ratko significa per l’appunto questo – come ancora si ostinano a considerarlo molti nel suo Paese, non abbasserà  lo sguardo se è vero, come riferiscono i suoi legali, che continua a pensare di non essere responsabile di alcunché e che alla fine sarà  giudicato non colpevole. Certo è che Mladic, 70 anni, sopravvissuto a due ictus, stamani alle 9 comparirà  per la prima udienza del processo davanti ai giudici del Tribunale penale internazionale dell’Aia (Tpi). La richiesta dei suoi legali di ricusazione di un magistrato giudicante per far slittare l’appuntamento in aula è stata infatti respinta. A 17 anni dal genocidio di ottomila musulmani a Srebrenica e dalla fine dell’assedio di Sarajevo (diecimila morti) il “boia dei Balcani” arriva così al faccia a faccia finale con la Giustizia internazionale, dopo una latitanza durata oltre tre lustri. 
L’ex capo militare serbo-bosniaco deve rispondere di due genocidi, cinque crimini contro l’umanità  e quattro crimini di guerra per un totale di 11 capi di accusa, che includono anche il sequestro di 200 caschi blu e osservatori Onu, sempre nel ‘95. Durante la guerra civile in Bosnia Erzegovina (‘92-’95), si legge nell’atto d’accusa del procuratore capo del Tpi, il belga Serge Brammertz – Mladic è stato parte di una «impresa criminale comune», finalizzata «a spazzare via per sempre i bosniaco-musulmani e i croato-bosniaci». In altre parole la “pulizia etnica”, l’ossessione ideologica non solo di Milosevic e Karadzic ma dello stesso Mladic. «I musulmani sono il nemico comune nostro e dei croati…Dobbiamo cacciarli in un angolo dal quale non possano più muoversi…», scriveva il generale nei suoi diari segreti, nelle sue cronache dal fronte di guerra jugoslavo negli anni a cavallo tra il ‘92 e il ‘95. Diciotto quaderni, fitti di appunti, considerazioni, citazioni sulla necessità  di fare piazza pulita una volta e per sempre degli islamici dalla sua terra. Oltre 3500 pagine che inchiodano il macellaio di Srebrenica, più ancora delle testimonianze dei sopravvissuti di quell’orrore, alle proprie responsabilità .
Personaggio contraddittorio, il generale: padre amorevole che conserva come una reliquia nel portafogli una ciocca di capelli di Ana, la figlia morta suicida a vent’anni. Marito fedele, comandante venerato dai suoi uomini che a centinaia in questi anni gli hanno fatto da scudo per proteggerne la latitanza. E al tempo stesso capace di ordinare senza battere ciglio l’assassinio di decine di migliaia di uomini e donne per “ripulire” la sua Serbia. Perché, come era solito dire, «i musulmani che vivono qui non sono di questa terra che non è Istanbul né Smirne né Ankara». 
Sedici anni è durata la sua fuga. Sedici anni tutti da raccontare. Un grande romanzo popolare, un mix perfetto di realtà  e finzione. Di sosia, di complicità  di Stato, di frottole e mezze verità . E di avvistamenti qua e là  per il mondo. Mladic è stato arrestato nello scorso luglio in casa di un parente a Lazarevo, villaggio 80 chilometri a nord-est di Belgrado. La procura del Tpi stima in almeno tre anni la durata del processo a suo carico. L’ex generale rischia il carcere a vita. Invecchiato e malato, il 70enne boia di Srebrenica ha insistito di non essere in grado di reggere il processo, lasciando intendere di rischiare di non arrivare vivo alla sua fine, come è già  accaduto all’ex presidente serbo, Slobodan Milosevic, morto d’infarto prima della conclusione del procedimento a suo carico. Una perizia medica ha tuttavia dichiarato che Ratko Mladic è perfettamente in grado di seguire il processo. Oggi con ogni probabilità , il grande imputato se ne starà  zitto nell’ascoltare le «mostruose accuse», sono parole sue, che il procuratore Serge Brammertz gli rivolgerà .

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