“L’Appennino sta premendo sulle Alpi la Pianura Padana stretta in una tenaglia”

by Editore | 21 Maggio 2012 9:28

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ROMA – L’allarme suona immediatamente. I pennini hanno appena iniziato a ballare sul rullo di carta cerata che gira a velocità  appena percettibile. Nella sala sismica dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), a Roma, la scena si è ripetuta più di cento volte dall’una del mattino (primo tremore: 4,2 di magnitudo) alle cinque del pomeriggio, passando per la scossa più violenta, di magnitudo 5,9 delle 4:03, e per l’allarme rosso alle 15:18, magnitudo 5,1. 
A ogni suono della sirena un sismologo analizza la forma dell’onda sismica, localizza l’epicentro, calcola la magnitudo, e un punto rosso si aggiunge sul maxischermo che mette insieme tutte le scosse di quest’ondata che non vuole saperne di scemare. Unendo gli epicentri dello sciame appare una striscia di 30 km che corre da est a ovest. Lì, nel sottosuolo, la placca adriatica si sta agitando. Spostandosi verso nord-est alla velocità  di 4 millimetri all’anno, e sollevandosi nello sforzo di cavalcare la Pianura Padana, la faglia si è spaccata. Ora, come una molla, sta rilasciando l’energia compressa. Il tremore ieri notte è stato avvertito da Bolzano a Rieti e da Torino a Trieste. Perfino il rombo si è fatto udire in tutta la Pianura Padana.
«Non è finita qui. Ci vorrà  tempo prima che le scosse di assestamento diminuiscano. Non escludiamo che si tocchino di nuovo magnitudo elevate» mette in guardia Warner Mazzocchi, uno dei sismologi dell’Ingv buttati giù dal letto ieri notte. A fine gennaio un altro sciame sismico aveva scosso Parma e Reggio, raggiungendo magnitudo 5,4. «È evidente che in quell’area c’è un’attività  parecchio vivace» conferma Stefano Gresta, che dell’Ingv è neopresidente. «Ma non è la prima volta che accade» aggiunge Concetta Nostro. «Nel 1570 si registrò un sisma di magnitudo 5,5 sempre vicino a Ferrara, mentre nel 1987 raggiungemmo magnitudo 5,4». E risalendo più indietro, nel 1117 tutto il Nord Italia fu squassato da un sisma monstre di 6,4 che fu avvertito fino in Svizzera. Eppure nelle mappe ufficiali del rischio la zona tra Ferrara, Modena, Rovigo e Mantova è classificata come “medio-bassa”.
Sotto accusa oggi c’è quell'”Arco di Ferrara” colpevole già  del terremoto disastroso del 1570. «La falda dell’Appennino avanza sotto alla Pianura Padana, comprimendosi e rialzandosi lungo un fronte che ha la forma di un arco e dove si concentra la pericolosità  sismica» spiega Claudio Chiarabba, funzionario di sala sismica. «Quando si rompe una faglia – spiega il sismologo Luca Malagnini – gli epicentri delle scosse si distanziano di una decina di chilometri l’uno dall’altro. Ma stavolta le scosse coprono un fronte di oltre 30 chilometri. Segno che a rompersi è stata più di una faglia». In tutti i casi (come forse anche per i 6,2 gradi raggiunti all’Aquila nel 2009), la colpevole è sempre lei: la placca adriatica che dall’Africa preme verso nord-est. Questo blocco di roccia rigido e frastagliato confina a ovest con l’Appennino e a nord con le Alpi di Veneto e Friuli. Nella sala sismica dell’Ingv, quasi tutti i punti rossi recenti sono concentrati lungo i suoi bordi. Ma se si allarga lo sguardo del maxischermo sulla Terra intera, un’altra zona molto calda compare in Giappone. «Sono ancora le scosse di assestamento di Fukushima» spiega Alessandro Amato dell’Ingv. «In casi di sismi così violenti, l’assestamento può durare anche anni». Ma gli esperti assicurano che non sarà  il caso della Pianura Padana.

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