“Diritto al sesso in carcere, intervenga la Consulta”

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FIRENZE – Il carcere come luogo dove si può esprimere l’affettività  verso i familiari e dove è possibile fare l’amore con la propria compagna o il proprio compagno. In un ricorso alla Corte costituzionale partito a fine aprile da Firenze è prefigurata una novità  che potrebbe cambiare la vita di molte delle quasi 70mila persone che vivono nelle prigioni italiane. Sarebbe una rivoluzione se venisse cancellato il secondo comma dell’articolo 18 della legge 345 del 1975, come chiesto nell’eccezione di incostituzionalità  sollevata dal presidente del tribunale di sorveglianza fiorentino Antonietta Fiorillo. Quella norma impone che i colloqui si svolgano «in appositi locali sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia». Per ragioni umanitarie, sanitarie, legate al diritto alla famiglia e alla stessa necessità  del recupero dei detenuti, si sostiene nell’ordinanza, gli incontri si dovrebbero svolgere lontani dagli occhi degli agenti o delle telecamere. In spazi dedicati, come già  avviene in quasi tutti i paesi europei. Sarebbe così possibile per chi è in prigione fare una chiacchierata in tranquilla solitudine con il fratello o il figlio oppure avere un momento di intimità  con la moglie.
«Credo che sia arrivato il momento di avvicinarci laicamente a questa questione – spiega Antonietta Fiorillo – Dopo anni in cui non si è nemmeno affrontato il problema delle espressioni di sessualità , a volte anche coartata». Omosessualità  ricercata o imposta e masturbazione sono problemi reali e sentiti da chi vive il carcere, detenuti e operatori. Poi c’è la difficoltà  nei rapporti con i familiari. «Dobbiamo recuperare queste persone – spiega il magistrato – e per farlo bisogna iniziare a far vivere loro dei rapporti il più possibile normali con i propri cari. Mi sembra una cosa logica. Nell’ordinanza sono partita dalla più ampia categoria dell’affettività , di cui fa parte anche la sessualità . Il problema riguarda principalmente persone con pene definitive, circa il 60% del totale, e che non hanno accesso a permessi, pensati proprio per la risocializzazione». 
Il ricorso alla Corte costituzionale è nato da un detenuto sessantenne del carcere fiorentino di Sollicciano che ha chiesto al direttore di essere autorizzato ad incontrare la moglie fuori dalla vista della polizia penitenziaria. Al primo no è seguito un reclamo al tribunale di sorveglianza. Durante l’udienza, con l’accordo del pm, il magistrato ha deciso di interpellare la Consulta. L’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario violerebbe gli articoli 2, 3, 27, 29, 31 e 32 della Costituzione perché tra l’altro impedirebbe il pieno sviluppo della persona umana, non farebbe tendere la pena alla rieducazione del condannato e ne comprometterebbe la salute psicofisica. «Sarebbe più facile di quanto si crede creare aree isolate destinate alle visite – dice sempre Antonietta Fiorillo – Del resto praticamente siamo l’unico paese europeo che non le prevede». Nel ricorso presentato alla Consulta si citano le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, come quella che chiede di «migliorare le condizioni per le visite, in particolare mettendo a disposizione luoghi in cui i detenuti possano incontrare le famiglie da soli». E ancora: «Le modalità  delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali». In Italia, salvo incontri premio decisi dai singoli penitenziari, le visite generalmente durano due ore e si svolgono una volta alla settimana. In Olanda, Norvegia, Danimarca e alcuni lander della Germania ci sono piccoli appartamenti dove i detenuti condannati a lunghe pene possono incontrare i propri cari. Francia e Belgio sperimentano abitazioni dove stare insieme alla famiglia 48 ore, Croazia e Albania ammettono colloqui non controllati di 4 ore. Usa e Canada prevedono incontri in prefabbricati all’interno degli istituti.


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