“Confesso: uno dei corvi sono io lo facciamo per difendere il Papa e denunciare il marcio della Chiesa”
«Ci sono i cardinali, i loro segretari personali, i monsignori e i pesci piccoli. Donne e uomini, prelati e laici. Tra i “corvi” ci sono anche le Eminenze. Ma la Segreteria di Stato non può dirlo, e fa arrestare la manovalanza, “Paoletto” appunto, il maggiordomo del Papa. Che non c’entra nulla se non per aver recapitato delle lettere su richiesta».
Un quartiere alto di Roma nord, un tavolino di un bar, sempre un po’ di traffico intorno. All’ora di pranzo di una domenica mattina finalmente tersa uno dei “corvi”, gli autori della fuoriuscita di lettere segrete dalla Santa Sede, spiega i dettagli dell’operazione.
«Chi lo fa – dice subito – agisce in favore del Papa».
Per il Papa? E perché?
«Perché lo scopo del “corvo”, o meglio dei “corvi”, perché qui si tratta di più persone, è quello di far emergere il marcio che c’è dentro la Chiesa in questi ultimi anni, a partire dal 2009-2010».
Ma chi sono? Chi siete?
«Ci sono quelli che si oppongono al segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Quelli che pensano che Benedetto XVI sia troppo debole per guidare la Chiesa. Quelli che ritengono che sia il momento giusto per farsi avanti. Alla fine così è diventato un tutti contro tutti, in una guerra in cui non si sa più chi è con chi, e chi è contro».
La persona è tormentata. Vuole parlare, ma allo stesso tempo ha paura, e ha forti dubbi. Niente nomi da pubblicare, ne andrebbe della sua sicurezza. Molti silenzi, molti sguardi. «Posso fidarmi di lei? Questa cosa è terribilmente delicata». Proviamo.
Com’è nata la fuga dei documenti dal Vaticano?
«Nasce soprattutto dal timore che il potere accumulato dal Segretario di Stato possa non essere conciliabile con altre persone in Vaticano».
Ma c’è anche una pista dei soldi?
Una mano nei capelli, gli occhi guardano intorno, le mani tormentano un anello.
«C’è sempre una pista dei soldi. Ci sono anche interessi economici nella Santa Sede. Nel 2009-2010 alcuni cardinali hanno cominciato a percepire una perdita di controllo centrale: un po’ dai tentativi di limitare la libertà delle indagini che monsignor Carlo Maria Viganò stava svolgendo contro episodi di corruzione, un po’ per il progressivo distacco del Pontefice dalle questioni interne».
Le macchine intorno strombazzano. Due cani finiscono per azzannarsi. Cambiamo posto. Saliamo. Altro bar, giardino all’interno, un po’ di quiete. Il discorso prosegue più fluido.
«Che cosa è successo a quel punto? Viganò scrive al Papa denunciando episodi di corruzione. Chiede aiuto, ma il Papa non può far nulla. Non può opporsi perché questo significherebbe creare una frattura pubblica con il suo braccio destro. Pur di tenere unita la Chiesa sacrifica Viganò. O meglio, finge di sacrificarlo perché, come si sa, la nunziatura di Washington è quella più importante. Così i cardinali capiscono che il Papa è debole e vanno a cercare protezione da Bertone».
Che cosa fa a questo punto il Pontefice?
«Il Papa capisce che deve proteggersi. E convoca cinque persone di sua fiducia, quattro uomini e una donna. Che sono i cosiddetti relatori. Gli agenti segreti di Benedetto. Il Papa cerca consiglio da queste persone affidando a ciascuno un ruolo, e alla donna quello di coordinare tutti e cinque».
C’è una donna che aiuta il Papa in questo?
«Sì, è la stratega. Poi c’è chi materialmente raccoglie le prove. Un altro prepara il terreno, e gli altri due permettono che tutto ciò sia possibile. In questa vicenda il ruolo di queste persone è stato quello di informare il Papa su chi erano gli amici e i nemici, in modo da sapere contro chi combattere».
E intanto la fuoriuscita dei documenti come va avanti?
«Cominciano a uscire. Sono individuati dei canali e dei giornalisti».
Come escono?
«A mano. L’intelligence vaticana, che ha sistemi di sicurezza integrati nei sotterranei del Palazzo apostolico guidati da un giovane ex hacker di 35 anni, e sono addirittura più evoluti della Cia, con sistemi sofisticatissimi, non possono farci nulla. Perché i cardinali sono abituati a scrivere i loro messaggi a penna e a dettarli. Li fanno poi recapitare a chi vogliono brevi manu. E i documenti fuoriusciti sono lo strumento con cui si sta combattendo questa guerra. L’obiettivo primario era quello di colpire il Papa. Di fiaccarlo e convincerlo a mollare le questioni politiche ed economiche della Chiesa. Bisognava reagire».
E il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, letteralmente cacciato?
«È accaduta la stessa cosa. Eppure era vicinissimo al Papa: hanno steso insieme l’enciclica Caritas in veritate. Gotti non rispondeva a nessuno, ma lo faceva direttamente al Papa, a cui mandava anche dei memorandum per descrivere la situazione interna allo Ior. E così anche le operazioni che fallivano, come la legge antiriciclaggio o la scalata per il San Raffaele. Bertone si ingelosisce, accusa Gotti, e decide di tagliargli la testa. Quando giovedì scorso il Papa ha saputo del licenziamento di Gotti, si è messo a piangere per “il mio amico Ettore”».
Il Papa che piange?
«Sì, ma poi si è arrabbiato moltissimo e ha reagito dicendo che la verità su questa vicenda sarebbe venuta fuori».
Ma non si poteva opporre?
«Avrebbe potuto farlo, ma opporsi avrebbe significato una frattura clamorosa con il suo Segretario di Stato».
E poi, il giorno dopo?
«E il giorno dopo il Papa è stato nuovamente colpito, e nel personale, quando è stato arrestato Paoletto. Ora il Papa è disperato. Ma Paoletto non è il corvo, i corvi sono tanti, tutt’al più è stato usato da qualcuno».
Hanno detto di Gotti che è uno dei corvi.
«Gotti è una persona onesta, che tace, come ha fatto anche nel mezzo dell’indagine della magistratura sullo Ior. E come sta facendo adesso dopo la sua defenestrazione. Non si è prestato a nessun gioco, non è lui il corvo».
Anche padre Georg, il segretario del papa, è nel mirino?
«Per una fazione è stato uno degli obiettivi da colpire: rappresenta oggi più che mai l’elemento di congiunzione fra tutti i dicasteri all’interno del Vaticano e il Papa, fa da filtro, decide e consiglia il Papa».
Siamo ormai da tre ore a colloquio, in pieno pomeriggio, al terzo caffè. La persona è molto informata, conosce dettagli, meccanismi, persone interne alla Santa Sede come pochi.
Perché ha deciso di uscire allo scoperto?
«Per far emergere la verità . E quindi far cessare la gogna mediatica alla ricerca estrema di un colpevole nelle vesti di un corvo (il maggiordomo), di un prete (don Georg), o di un alto funzionario o di un cardinale (Gotti, il cardinale Piacenza o altri). Il ruolo fondamentale della Chiesa è di difendere il valore del Vangelo, non quelli di accumulare potere e denaro. E quello che faccio è fatto in nome di Dio, io non ho paura».
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