“Avvelenati i gerarchi del regime siriano” Giallo sull’attentato nel bunker di Assad

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BEIRUT – Il tempo: sabato 21 maggio, al tramonto. Il luogo: il bunker della Difesa, a Damasco, dove ogni giorno si riunisce l’unità  di crisi per fare il punto sulla situazione nel paese. I protagonisti: i componenti di questa sorta di consiglio di guerra quotidiano composto dal potente ex capo dell’intelligence militare e cognato del presidente Assad, Assef Shawkat, dai ministri della Difesa, Daud Rajha, e dell’Interno, Mohamed al Sahar, dal capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Hisham Baktjar, dal segretario del partito Baath, Mohammed Said Makhtian e da Hassan Turkmani, braccio destro del vicepresidente, Faruk al Sharaa. In pratica, il fior fiore del regime, più uno: una sconosciuta guardia del corpo. La talpa che l’opposizione armata sarebbe riuscita a piazzare nel cuore del potere con un compito letale: eliminare il vertice della piramide con un avvelenamento di gruppo.
Come sceneggiatura di un diabolico complotto ai danni del regime siriano è certamente ben studiata. Non a caso, domenica 22 maggio, il racconto di questa “missione impossibile”, anticipato su You Tube da una fonte che s’è detta appartenente al Libero Esercito Siriano, ha fatto il giro delle redazioni, finendo poi per essere trasmesso da Al Jazeera e da Al Arabiya. Ma c’è un particolare: la notizia è stata smentita, giovedì, dal ministero degli Esteri di Damasco con un “post” del portavoce Jihad Makdissi su Facebook. Si tratterebbe di un episodio, l’ennesimo, di disinformazione propagata ad arte per gettare discredito sul nemico, una tattica di cui le due parti in conflitto si sono ampiamente servite dall’inizio della rivolta.
Il lettore può facilmente immaginare il seguito della storia. L’agente infiltrato riesce a portare a termine il suo piano. Quindici gocce di un potentissimo veleno «inodore, insapore e incolore» vengono iniettati in un arrosto ordinato per la cena dei potenti. L’effetto è devastante, ma non immediatamente mortale. Le vittime vengono trasportate di fretta e furia all’ospedale. Qualcuno viene salvato per miracolo, qualcun altro soccombe. Il misterioso avvelenatore viene condotto dai complici fuori dal paese (e questo è francamente incredibile). Ma tant’è.
Ben prima che Makdissi rendesse nota la sua smentita, alcuni degli “avvelenati” si sono presentati davanti alla Tv per dimostrare che erano vivi e vegeti. Di tutti s’è saputo qualcosa, tranne che del generale Assef Shawkat, il cognato di Assad, persona di per se schiva e ombrosa, che forse era l’obbiettivo principale della “disinformazia”.
Non è la prima volta che fonti dell’opposizione danno Shawkat per morto. L’interesse dell’opposizione è evidente: Shawkat non è soltanto un gerarca ad altissimo livello è anche un componente della famiglia presidenziale. Colpire lui vorrebbe dire che per i ribelli non ci sono obbiettivi invulnerabili.
Ma la notizia non fa molta strada. Il New York Times la riprende con tutti i condizionali del caso. La stampa libanese, che ben conosce Shawkat essendo stato il generale coinvolto nella prima fase delle indagini sull’uccisione dell’ex premier Rafik Hariri, ne accenna di sfuggita. Soltanto il sito del giornale israeliano Haaretz dà  rilievo alla storia, affermando che, nonostante le smentite siriane, Israele avrebbe informazioni «affidabili» secondo cui un tentativo di avvelenare alcuni alti gradi del regime è stato compiuto alcuni giorni fa. «Ma il tentativo è fallito – avrebbe detto una fonte ben informata al giornale – e quelli che erano alla riunione sono ancora vivi». Shawkat compreso.


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