Protezione Civile, l’Esame Comincia ora

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Era furibondo, Franco Gabrielli: come aveva scritto a tutti. Al premier di allora, Silvio Berlusconi, al suo braccio destro Gianni Letta, al ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Perfino al Quirinale. «Così le emergenze saranno ingestibili», insisteva. Spiegando che le norme appena introdotte nel decreto milleproroghe avrebbero ucciso la Protezione civile. Nessuno, però, gli diede retta. Quindici mesi dopo, è arrivato il momento della ricostruzione. Non soltanto delle zone terremotate dell’Emilia, ma della stessa struttura che era stato il regno di Guido Bertolaso e che aveva rischiato di soccombere, dopo gli scandali degli appalti della Cricca. 
In mezzo c’è stata la nevicata che ha paralizzato gran parte del Paese. Dove si è toccato con mano il pasticcio. Il Milleproroghe approvato a febbraio del 2011 aveva assoggettato tutte le ordinanze della Protezione civile, nessuna esclusa, al «concerto» preventivo del ministero dell’Economia oltre che all’ok della Corte dei conti. Se Tremonti o chi per lui non avesse dato il via libera, Gabrielli non avrebbe potuto spendere nemmeno un euro. «Saremo costretti ad attendere complesse procedure burocratiche proprie del ministero dell’Economia e nessun commissario si assumerà  la responsabilità  di agire senza il nulla osta della Corte dei conti», protestò inutilmente.
La misura draconiana era giustificata dal fatto che si era oggettivamente esagerato. Nata con il terremoto del Friuli del 1976, sotto la gestione Bertolaso era diventata potentissima, ben al di là  della stessa funzione per cui era stata creata. Gestiva con licenza di deroga dalle procedure ordinarie tanto gli interventi per le calamità  naturali, quanto i cosiddetti Grandi eventi. Anomalia forse comprensibile, in un Paese nel quale gli ingranaggi ordinari sono pieni di sabbia, ma inaccettabile per alcuni effetti collaterali. Come purtroppo ha dimostrato la sfilza di indagini giudiziarie che hanno riguardato gli appalti per il G8 o le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità  d’Italia, o ancora i mondiali di nuoto del 2009. 
La Corte dei conti, tignosamente, lo sottolineava ogni volta che poteva nelle sue relazioni, come quella, clamorosa, con la quale rifiutò il visto di conformità  per i 2,3 milioni di euro della Protezione civile versati al comitato organizzatore della competizione velica Luis Vuitton. E lo stesso faceva anche l’autorità  per la vigilanza sui contratti pubblici, che nel 2010 rivelò come nei nove anni precedenti fossero stati gestiti con procedure speciali appalti per 12 miliardi 894 milioni di euro. Una bella fetta dei quali (3 miliardi 548 milioni) per la sola irrisolta emergenza dei rifiuti in Campania. Il tutto condito da 302 ordinanze. Critiche e osservazioni respinte da Bertolaso in una lettera indirizzata a chi scrive nella quale rivendicava l’assoluto rispetto della «legislazione» nazionale e comunitaria. «Le norme», argomentava, «non ci consentono franchigie dalla legalità , ma soltanto ciò che davvero costituisce il patrimonio che l’esperienza della Protezione civile ha regalato a questo Paese: l’abolizione dei tempi morti, delle lungaggini, della priorità  degli ordini di beccata gerarchici rispetto all’esigenza di non perdere tempo (…) in un sistema come quello “ordinario” in Italia nel quale il tempo è variabile che da un lato indica il prestigio e il potere di chi lo spreca, dall’altro è la moneta investita per arrivare agli aumenti di costo delle opere…».
Fatto sta che quando si è deciso di mettere fine a quell’anomalia, e la decisione è stata presa dallo stesso governo che dieci anni prima l’aveva incoraggiata affidando a Bertolaso anche i Grandi Eventi, si è passati da un estremo all’altro. Da tutto a niente. Finché il 15 maggio scorso il governo Monti approva una riforma per decreto legge che restituisce alla Protezione civile il potere di ordinanza senza dover passare sotto le forche caudine del ministero dell’Economia. Ma soltanto per la breve durata dei 20 giorni successivi al verificarsi della calamità . Ed esclusivamente per tre finalità : le operazioni di soccorso, l’assistenza alle popolazioni e le opere strettamente necessarie alla sicurezza immediata. La durata dell’emergenza è fissata in due mesi, salvo una proroga massima di altri quaranta giorni. Il che significa che in ogni caso, e per ogni genere di calamità , dopo cento giorni la Protezione civile è fuori. Tutto passa in mano a quel sistema «ordinario» così criticato dal predecessore di Gabrielli. Niente più commissari, né soggetti attuatori, e neppure retribuzioni aggiuntive, com’era un tempo. E meno male. Qualche giorno fa il capo della Protezione civile ha detto che considera il terremoto emiliano alla stregua di un «banco di prova», anche se non affatto gradito, per questo nuovo sistema. Funzionerà ? 
C’è da domandarsi, per esempio, se non siano troppo rigidi i paletti temporali. L’attività  della Protezione civile, pur delimitata ad ambiti definiti contrariamente a quanto avveniva in passato (con le procedure straordinarie si restaurò nel 2006 anche il David di Donatello con la scusa che quarant’anni prima c’era stato l’alluvione a Firenze), avrebbe forse bisogno di meccanismi più elastici. Sappiamo bene che ci sono situazioni in cui l’assistenza alle popolazioni in condizioni di emergenza si è protratta molto oltre i cento giorni. E un’Italia tanto fragile non può permettersi di non avere una struttura di Protezione civile preparata ed efficiente. Che d’ora in poi si tenga alla larga, sia chiaro, dai mondiali di nuoto e dalle regate veliche.


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