Project bond e investimenti ora le nuove mosse di Bruxelles

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Sono bastate poco più di due settimane per rovesciare la dinamica politica che ha dominato l’Europa negli ultimi due anni. Nelle prossime, sentiremo, probabilmente, parlare più di crescita che di austerità  e rigore. Neanche se la situazione, soprattutto dei paesi più deboli, resta fragile e precaria, non è detto che la svolta dispiaccia a mercati finanziari spaventati, in questo momento, soprattutto dalla recessione. Sono state due settimane che hanno visto i margini di manovra di Angela Merkel e, in generale, l’egemonia tedesca sulla politica europea ridursi progressivamente. Prima, il vertice di Washington e le pressioni del Fmi su Berlino per un allentamento del rigore, poi la caduta, sullo stesso tema, del governo olandese, finora fra gli alleati più fedeli della Merkel. Ancora, la vittoria di Hollande in Francia e la rivolta dell’elettorato greco. Infine, ieri, la sonora sconfitta nelle elezioni locali (attesa, ma non in queste proporzioni) che costringerà  la Merkel a trovare un terreno d’intesa con l’opposizione socialdemocratica, in direzione di una politica interna più espansiva. Il risultato è che, mercoledì, quando incontrerà  il cancelliere tedesco, Franà§ois Hollande si troverà  di fronte una Merkel più morbida di quanto potesse aspettarsi ancora pochi giorni fa.

UNA NUOVA POLITICA EUROPEA
Questo non significa una inversione a U nella politica europea. Berlino non accetterà  di rimettere in discussione il patto fiscale, siglato solo due mesi fa. Non accetterà  di rivedere il mandato della Bce, consentendole di intervenire direttamente a finanziare il debito dei paesi dell’euro. Non accetterà  gli eurobond e la conseguente partecipazione dell’intera Europa al debito dei singoli paesi. Non accetterà , contrariamente a quanto molti chiedono, di aumentare la dotazione del Fondo salva Stati. Probabilmente, non accetterà  neanche che si allenti la pressione su Atene e sui partiti greci, chiamati ad onorare gli impegni presi con Bruxelles. Ma l’abbozzo di una diversa politica europea contro la crisi era già  emerso nei giorni scorsi ed è uscito rafforzato dal risultato delle elezioni tedesche.

IL PATTO FISCALE
Il primo elemento riguarda il patto fiscale. Non si tratta di rivederne gli obiettivi di risanamento, ma di aggiustarne il calendario. Le cadenze previste attualmente per raggiungere il pareggio di bilancio e il rientro dal debito vengono giudicate, da molti economisti, eccessivamente punitive, al punto da aggravare la recessione e, di fatto, irrealistiche. Di fatto, nessuno, né nelle capitali, né nei mercati, crede che la Spagna possa effettivamente centrare un disavanzo al 3 per cento del Pil già  l’anno prossimo. E, a Bruxelles, infatti, si sta già , ufficiosamente, discutendo di un rinvio per Madrid. Una volta che sia consolidato il percorso di discesa del disavanzo, ritardare l’obiettivo di uno o due anni, rendendolo più realistico, non dovrebbe modificare sensibilmente le aspettative dei mercati. Questa l’opinione, fra gli altri, del Fmi. Per l’Italia, tenuta, in linea di principio, al pareggio di bilancio già  l’anno prossimo, sarebbe una boccata d’ossigeno, che scongiurerebbe una nuova manovra di tagli e rincari fiscali.

GLI STIMOLI ALL’ECONOMIA
Il secondo elemento che si fa strada, come perno di una nuova politica europea, è un intervento attivo di stimolo all’economia. Vanno in questa direzione i project bonds, su cui i tedeschi sembravano già  disponibili: in sostanza, affiancare la garanzia della Ue a grandi progetti infrastrutturali, lanciati dai privati. A Bruxelles, si pensa che, in questo modo, potrebbero essere varati investimenti per 200 miliardi di euro. Sulla stessa linea, a livello nazionale, potrebbero – come da tempo chiede l’Italia – essere esonerati dai vincoli di bilancio una serie di investimenti pubblici, sempre destinati alle infrastrutture. L’idea piace poco ai tedeschi, ma offre due vantaggi: a medio termine, migliora la dotazione di infrastrutture e, dunque, le potenzialità  di crescita delle singole economie, mentre, nell’immediato, mobilita appalti, commesse, investimenti e assunzioni.

L’INFLAZIONE TEDESCA
Il terzo elemento riguarda la politica interna tedesca. È probabile che, nella sconfitta di ieri della Merkel, incida pesantemente la politica restrittiva adottata in questi anni, che ha impedito di ridistribuire più largamente i benefici della prosperità  raggiunta dalla Germania. Il governo tedesco aveva sentito la tempesta arrivare e, negli ultimi giorni, aveva aperto la porta alle richieste di aumento dei salari, anche ove questi producessero maggiore inflazione. È un punto cruciale per tutta l’Europa. Dato che l’area euro condivide la stessa moneta, se in alcuni paesi si applica una politica fortemente recessiva, improntata all’austerità , occorre che questa venga compensata da una politica più espansiva negli altri paesi. In buona sostanza, occorre che i consumatori tedeschi spendano di più e importino più merci dai paesi sottoposti all’austerità . Un po’ più d’inflazione in Germania avrebbe anche l’effetto di accelerare il recupero di competitività  da parte degli altri paesi, mentre oggi, paradossalmente, l’inflazione tedesca è fra le più basse in Europa. È facile prevedere le resistenze della Bundesbank, il cui presidente, Jens Weidmann, ha già  fatto sapere che vale per la Germania l’obiettivo europeo di tenere l’inflazione al 2 per cento. Ma, in realtà , il mandato della Bce è di tenere la media dell’inflazione di tutta l’area euro al 2 per cento, ciò che può avvenire con un’inflazione tedesca al 3 per cento e all’1 per cento altrove.


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