Più poveri, impauriti e single
Stiamo impoverendo. Ce n’eravamo accorti da soli, ma l’Istat ce ne dà la conferma – per quanto possibile – scientifica, cioè statistica. Usciamo dal ventennio berlusconiano incerottati e un po’ laceri; il resto lo sta facendo Monti, con il valido supporto di Fornero e dei quasi tutti i partiti presenti in Parlamento. Ma gli effetti statistici saranno registrati solo dopo. Partiamo dai redditi delle famiglie. Negli ultimi quattro anni – dal 2008 alla fine del 2011 – abbiamo lasciato per strada il 5% pro capite. Rispetto al 207 la perdita sale al 7%, mentre confrontata con il 2002 è leggermente inferiore: -4. Di fatto, stiamo alla pari con dieci anni fa, ma molto peggio rispetto a 20. I redditi nominali sono cresciuti di pochissimo, «grazie» a retribuzioni contrattuali – quelle sempre indicate dalla Bce come un pericolo da tenere sotto controllo – effettivamente rimaste ferme. Al contrario, i prezzi, le tariffe e le tasse hanno seguito tutt’altra dinamica. Generando così un divario irrecuperabile nel «potere d’acquisto»: guadagnamo suppergiù le stesse cifre, possiamo comprarci sempre meno cose. Nel leggere il Rapporto annuale, nella sala della Lupa, a Montecitorio, il presidente dell’istituto, Enrico Giovannini, ha dovuto mettere in luce un altro fenomento che smonta completamente la retorica ufficiale degli ultimi governi (compreso l’attuale) e di Confindustria: tra il 1995 e il 2008 l’Italia ha introdotto tanta precarietà legalizzata nel mondo del lavoro da diventare il paese più «flessibile» d’Europa. Ciò nonostante – o forse proprio per questo – ha smesso di «crescere». La ragione in fondo è semplice. La «produttività » del lavoro dipende dall’innovazione tecnologica di processo (ovvero investimenti fissi da parte delle imprese) e dall’intensità della prestazione lavorativa. Un paese che pensa di «competere» pigiando sul secondo pedale è destinato a perdere, perché più di tanto non si puù lavorare; e se si viene pagati poco – come accade a tutti gli «atipici», qualsiasi mestiere facciano – si consuma anche poco, deprimendo la «domanda interna». Le imprese e le banche ci hanno messo molto del loro. Gli investimenti fissi sono caduti, nel solo 2011, dell’1,9%, togliendo così un altro 0,5% a una «crescita» che sarebbe stata comunque anemica. L’nica giustificazione accettabile che possono portare è che le banche hanno ristyretti drasticemente il credito nella seconda metà dell’anno. Oscilla tra il 35 e il 45% il numero delle imprese che hanno dovuto registrare difficoltà o inieghi davanti allo sportello, E infatti dal 2000 ad oggi la crescita media è stata dello 0,4% annuo: l’ultimo posto dell’Europa a 27 non ce lo toglie nessuno. Nel decennio precedente, i roaring ninethies , era andata un po’ meglio: 1,8% annuo, meglio solo della Germania alle prese con i problemi giganteschi della «riunificazione». Venti anni di controllo assoluto dei salari e di favori alle imprese hanno prodotto questo «brillante» risultato, che ora si vorrebbe «migliorare» aumentando il dosaggio della stessa medicina deflazionistica. Anche la povertà non è uguale per tutti. Esplode al Sud, dove si sono persi 200mila posti di lavoro in 15 anni. 23 famiglie su 100 sono statisticamente povere (solo 4,9 al Nord); e per lo l’ intensità della povertà è maggiore. Specie se ci sono 5 persone o più in famiglia. In ogni angolo del paese, comunque, si sta fermando la mobilità sociale. Chi ha un padre operaio ragne gli stranieri, ma anche genericamente «la criminalità ». Anche se lo stesso ministero dell’interno comunica – via Istat – che al contrario sono diminuiti tutti i reati che potrebbe sollevare «paura». Gli omicidi sono quantitativamente crollati (da 2,9 a 0,9 l’anno ogni 100.000 abitanti; ma l’uccisione di donne rimane costante); i furti in casa si sono ridotti del 30% e gli scippi del 75. L’unico reato che cresce sono truffe, soprattutto clonazione delle carte di credito, bancomat, telefoniche o online. Si vede che le banche hanno prodotto fenomeni di imitazione, oltre a diffondere le occasioni tramite l’ home banking . giunge una professione «apicale» solo nell’8,5% dei casi. Si iscrive infatti più di rado all’università (il 20,3% contro il 61,9 degli «agiati»). E persino nella scuola superiore – nonostante tasse scolastiche grosso modo uguali per tutti – fanno registrare tassi di abbandono più elevati. Abbiamo perciò 2,1 milioni di giovani Neet ( not in education, employement or training ) tra i 15 e i 29 anni; il 22,1% di fronte a una media europea del 15. Naturalmente ciò comporta una forte diminuzione delle nascite, anche perché il 41,9% della fascia d’età tra i 25 e i 34 anni vive con i genitori, perché non ha un lavoro che gli permetta di mantenersi. Diminuiscono perciò i matrimoni, aumentano coabitazioni e separazioni; anche se alla fine sono i single quelli che vivono peggio, specie se donne. E anche se le donne ora al lavoro oggi sono più numerose (l’aumento degli occupati è rappresentato soltanto da loro, di fatto), non per questo hanno raggiunto alcuna «parità »: nei due anni successivi alla nascita di un figlio una su 4 lascia o perde il lavoro. E vanno aumentando (dal 7 al 24%) i licenziamenti motivati con la maternità . È il quadro di un paese imbestialito e impaurito, continuamente sollecitato (da media, partiti, governo) a scaricare su nemici di comodo i timori per un futuro opaco. Vanno bene gli stranieri, ma anche genericamente «la criminalità ». Anche se lo stesso ministero dell’interno comunica – via Istat – che al contrario sono diminuiti tutti i reati che potrebbe sollevare «paura». Gli omicidi sono quantitativamente crollati (da 2,9 a 0,9 l’anno ogni 100.000 abitanti; ma l’uccisione di donne rimane costante); i furti in casa si sono ridotti del 30% e gli scippi del 75. L’unico reato che cresce sono truffe, soprattutto clonazione delle carte di credito, bancomat, telefoniche o online. Si vede che le banche hanno prodotto fenomeni di imitazione, oltre a diffondere le occasioni tramite l’home banking.
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