by Editore | 4 Maggio 2012 9:59
In verità non si aspettavano giustizia i Samouni, certo non da Israele. Nessun membro di questa famiglia di Zaitoun, a est di Gaza city, aveva mai creduto che i militari responsabili per l’uccisione di 21 dei loro congiunti nei giorni di sangue del gennaio 2009, nel pieno dell’offensiva di terra dell’operazione «Piombo fuso», potessero essere puniti. Eppure l’esito dell’inchiesta militare israeliana – comunicato dal maggiore Dorit Tuval, procuratore aggiunto per le questioni operative, al Centro per i diritti umani israeliano “Betselem” – lascia l’amaro in bocca anche a chi non si era mai illuso. Tuval ha scritto che il caso è stato chiuso perché nell’attacco compiuto contro «civili che non prendevano parte a combattimenti»…«i soldati non hanno agito per volontà o conoscenza e nemmeno con fretta o negligenza».
Chissà come avrebbe reagito a questa conclusione l’attivista italiano dell’Ism e giornalista Vittorio Arrigoni (assassinato un anno fa) di fronte a questa conclusione, lui che trascorse non pochi dei giorni più duri di «Piombo fuso» a bordo delle ambulanze di Gaza che provavano a portare aiuti a Zaitoun e altri centri abitati occupati dai mezzi corazzati israeliani. Vittorio non c’è più e oggi scuote il capo incredula la fotoreporter Rosa Schiano, che negli ultimi mesi ha effettuato decine di missioni di monitoraggio in mare con i pescatori palestinesi tenuti sotto tiro dalla Marina militare israeliana e nelle campagne di Gaza dichiarate «no go zone». Schiano ha più volte incontrato i Samouni. «Non è solo una questione di mancato rispetto della giustizia internazionale – dice – perché stiamo parlando di vite umane, di uomini, donne e bambini che non avevano alcuna colpa e sono stati uccisi. Ancora oggi, quando mi reco in visita dai Samouni, registro il trauma subito da quelle persone. I più piccoli ne portano i segni ancora oggi».
Il massacro dei 21 Samouni è considerato dai palestinesi come il più grave dei «crimini di guerra» compiuti dall’Esercito israeliano durante «Piombo fuso». Rientra in quello che è noto come «Il caso Zaitoun», nel quale furono uccisi in totale 48 palestinesi e distrutte 27 abitazioni, una moschea e diverse fabbriche. Di fatto Zaitoun divenne in quei giorni in una sorta di base dalla quale sono partite parecchie delle incursioni di terra lanciate dalla Brigata Givati. Secondo la ricostruzione dell’accaduto fatta dalla giornalista di Haaretz Amira Hass, il 4 gennaio 2009, 24 ore prima della strage, i soldati israeliani ordinarono ad un centinaio di membri della famiglia Samouni, nascosti in un edificio di tre piani, di trasferirsi in un casa più piccola dall’altra parte della strada. I militari, sottolineò Hass, ebbero modo di vedere uomini, donne, bambini e anziani disarmati muoversi da una casa all’altra. I sopravvissuti hanno poi raccontato quanto si sentissero sicuri per il fatto che proprio i soldati li avessero raggruppati in quella abitazione. Il 5 gennaio però il comandante della brigata Givati, Ilan Malka, concluse – guardando immagini ad infrarossi trasmesse da droni – che nell’abitazione si trovavano uomini armati ed ordinò un attacco aereo in cui rimasero uccisi 21 Samouni e altri 40 feriti. I «miliziani armati» però non c’erano in quella casa, i morti sono tutti civili innocenti. Il colonnello israeliano Jonathan Halevi del «Jerusalem Center for Public Affairs», che ha indagato sull’accaduto, ha provato a giustificare l’attacco sostenendo che tre membri della famiglia Samouni facevano parte del Jihad islami e si muovevano in quella zona durante le operazioni militari.
La strage dei Samouni occupa non poche delle 575 pagine del rapporto del giudice sudafricano Richard Goldstone, chiamato dall’Onu ad indagare su «Piombo fuso», che accusa Israele di aver colpito intenzionalmente in varie occasioni i civili palestinesi. Poi, poco alla volta, a livello internazionale, Israele è stato scagionato. Prima con la clamorosa ritrattazione fatta da Goldstone (al Washington Post) della parte più scottante del suo rapporto fatta nel 2011: «Il bombardamento della casa (dei Samouni) fu la conseguenza dell’errata interpretazione dell’immagine di un drone da parte di un comandante». E poi con il rapporto di Mary McGowan Davis (Onu) secondo il quale «Israele ha dedicato risorse significative per indagare su oltre 400 accuse riguardo le sue operazioni militari». I razzi lanciati da Gaza, secondo Mary McGowan Davis, «prendono di mira» obiettivi civili mentre nel caso dei bombardamenti israeliani durante «Piombo fuso» – tra i quali quelli al fosforo bianco – i palestinesi «non furono colpiti per scelta». Ora giunge la conclusione della procura militare israeliana: tutti agirono secondo le procedure. I Samouni dopo tre anni hanno una sola certezza: la loro vita non vale niente.
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