PARATA DI ROVINE

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Invece delle urla dei comandi, del ritmare del passo dei soldati, dello sferragliare dei carri armati e delle scie assordanti dei cacciabombardieri nei cieli di Roma, non dovrebbe esserci un silenzio, questo sì «sobrio», rispettoso, operoso e partecipe per un’altra ferita civile che si apre nel cuore del Belpaese?
Dovrebbe essere un ragionamento ovvio e scontato di fronte all’emergenza dolorosa e immane che ha colpito l’Emilia, tanto più che è già  accaduto nel 1976, ha ricordato il manifesto, quando per il terremoto del Friuli la presidenza Leone sospese la parata. Invece c’è solo la consapevolezza di tanti, dai siti web all’opposizione di sinistra (ma anche a destra), ma non delle cosiddette istituzioni, dalla presidenza della Repubblica al governo dei tecnici, nel taciturno e spettrale consenso di chi lo sostiene: il Pdl, e il Pd, che pure alla costola democratica dell’Emilia dovrebbe essere legato, come dovrebbe piangere sulla strage operaia dentro un modello produttivo che tanto ha esaltato.
Il fatto è che quella parata era un’offesa anche prima del terremoto. Uno spreco insopportabile il costo previsto e già  attivato di circa 4 milioni di euro in piena crisi, a cui si è aggiunto il ridicolo dell’avere costretto ad imparare a marciare per il 2 giugno molti giovani che fanno parte del Servizio civile taglieggiato nei nuovi fondi governativi. Questa parata militare così concepita, più che celebrare la Festa della Repubblica, doveva e deve servire ad essere vetrina pubblicitaria del supermarket delle armi andato in onda all’ultimo vertice della Nato di Chicago del 20 e 21 scorsi. Utile quindi solo a giustificare i 10 miliardi di spesa nel bilancio del governo dei tecnici e del ministro-generale Di Paola, per l’acquisto di 90 cacciabombardieri F-35. Visto che non basta più correre da un sisma all’altro, da un’alluvione all’altra, quanto assetto del territorio italiano potrebbe essere sanato con 10 miliardi di euro? Altro che l’aumento impopolare deciso ieri dal governo del 2% delle accise dei carburanti per arrivare a 500 milioni da destinare – forse, visto il ruolo delle assicurazioni private previsto dalla nuova legge per i rimborsi da terremoto – alla ricostruzione. 
Ma naturalmente la parata deve rappresentare lo spot celebrativo delle guerre che ci hanno visti impegnati a disprezzo dell’articolo 11 della nostra costituzione, repubblicana appunto, che «bandisce il ricorso alla guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali». Ma di quali conflitti dovremmo essere fieri, visto che dall’Iraq, ai Balcani, dalla Somalia all’Afghanistan fino alla Libia quel «ricorso alla guerra», quegli interventi armati più o meno ipocritamente giustificati non hanno risolto le crisi ma, aggiungendo guerra a guerra e troppe stragi di civili, le hanno trasformate solo in immensi buchi neri e rovine della storia? Si dirà  che in alcuni luoghi siamo forza di pace che si interpone. Bene, allora celebriamo la pace che si interpone inviando subito uomini e mezzi a soccorrere le popolazioni dell’Emilia.
La volontà  sotterranea e nuova a dire no alla parata del 2 giugno è forte domanda di democrazia. Se inaspettatamente in Italia ha prevalso un referendum per impedire la privatizzazione dell’acqua, è ormai tempo di trovare forme e modi per una iniziativa popolare contro le spese militari. Siamo ancora in tempo a mobilitarci contro. A fermarla, la parata di rovine.


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