Nella Mente Folle dell’Assassino che Uccide Innocenti

by Editore | 21 Maggio 2012 8:40

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N on è stato un semplice attentato. Questa, invece, è una guerra. Un esercito di un solo soldato contro il mondo intero. E non è cominciata adesso, bensì tanto tempo fa. Ma prima era solo nella testa dell’uomo che ha schiacciato il pulsante del telecomando che ha fatto esplodere la bomba. Una guerra personale, alimentata con l’odio di anni, generata dalle viscere del risentimento. Ma combattuta anche per conto di chi, come lui, ha dovuto subire per tutta la vita. Per chi non aveva voce, né rispetto. Perché lui, nel suo delirio, ne è sicuro: questi uomini invisibili e vessati ora sono dalla sua parte, anche se non possono dirlo, perché «gli altri» non capirebbero, perché quelli sanno solo giudicare e sputare sentenze. Ma ci ha pensato lui a punirli, perché nella sua testa gli altri ora sono il nemico. È convinto che la sua guerra sia eroica, per questo non risparmia nessuno. Una ragazzina morta è solo una pedina sacrificabile, un giusto tributo di carne e sangue da versare alla causa. Non ci sono innocenti in questa guerra. Ma se la sono voluta loro, lui ha solo reagito. E noi non possiamo permetterlo. Nella sua follia, la missione è andare contro chi l’ha respinto, escluso, maltrattato o, semplicemente, ignorato per tanto, troppo tempo. Adesso, però, la sua guerra è in mondovisione, e tutti possono vederla. E nel momento in cui tutti lo cercano, paradossalmente, lui non si sente più invisibile. Sono qui, sembra dirci. E sono pronto, venitemi a prendere. 
Ha costruito la sua motivazione giorno per giorno, assemblandola pezzo per pezzo, in solitudine, come ha fatto con la bomba, costruita forse in cantina o in garage, mentre il mondo là  fuori non sospettava nulla. Solo che la carica esplosiva che lui si porta dentro è di gran lunga più micidiale di tre bombole di gas. Ce lo dice il fatto che non bastava un ordigno a caso. No, bisognava colpire dove avrebbe fatto più male. Dritto al cuore. Giovani vittime, in modo che tutti si sentissero padri e madri, perché non esiste dolore più deflagrante della perdita di un figlio. Ha scelto di piazzarla davanti a una scuola, una con un nome simbolico, dedicata a chi il mondo degli altri celebra come eroe solo dopo che è morto. Lui ha voluto smascherare la nostra ipocrisia, e farci sentire vulnerabili. Perché l’onda d’urto della bomba non si è esaurita in un normale sabato mattina di scuola, ma continua, si propaga muta sotto forma di paura che rompe gli schermi della quotidianità , invade le case, s’insinua nelle famiglie. E ci fa sentire tutti bersagli. 
Era questo lo scopo, fin dall’inizio. Per questo il soldato solitario ora ride. Di noi che abbiamo fatto, frettolosamente, di quella bomba e di quella povera vittima un simbolo. Ma questa non è la guerra dell’antimafia. Questa è la sua guerra. Ride perché, così, abbiamo fatto fare bella figura alla criminalità  organizzata, alle mafie coi loro codici d’onore che, in realtà , sono solo codici di business secondo i quali ammazzare una ragazzina davanti a una scuola non è affatto immorale, ma fa semplicemente male agli affari. 
Ride di chi «sentiva nell’aria» l’odore di questa bomba prima ancora che esplodesse: comici che non fanno ridere nessuno, tranne lui. Ride di noi, infinitamente deboli e impauriti. E soli. Perché davanti all’ombra il nemico può essere chiunque e il pericolo può nascondersi ovunque. Ogni luogo pubblico diventa un potenziale «target». Chi pensa che chi commette un simile atto voglia poi svanire nel nulla, si sbaglia in partenza. E adesso che abbiamo scoperto che l’uomo senza volto non è classificabile come mafioso o eversivo, e non possiamo sentirci rassicurati nell’inquadrarlo in una categoria conosciuta che, in passato, abbiamo già  sconfitto, dobbiamo fare i conti con la realtà  più tremenda. Lui è uno di noi. Il soldato ora ci guarda coi nostri stessi occhi. Ci guarda e aspetta. Ci guarda e ci sfida. La sua guerra dura da un pezzo. La nostra è appena iniziata.

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