by Editore | 25 Maggio 2012 11:07
MILANO – La Commissione Tributaria di Roma si è espressa sugli accertamenti emessi dalla Agenzia delle Entrate nei confronti del Gruppo Espresso per fatti risalenti al 1991, dichiarando legittima «la ripresa a tassazione di 440,8 miliardi di lire per plusvalenze (225 milioni di euro) realizzate – ad avviso della Commissione – e non dichiarate, e di 13,9 miliardi di lire per il recupero di costi assunti come indeducibili e afferenti a dividendi e credito di imposta, con applicazione delle sanzioni ai minimi di legge e condanna alle spese di giudizio». Si tratta, in sostanza, di accertamenti riguardanti le complesse vicende societarie che hanno portato alla suddivisione tra Cir e Fininvest del gruppo Mondadori e alla successiva quotazione in Borsa di La Repubblica.
Dal canto suo il gruppo L’Espresso rileva che già in due gradi di giudizio le Commissioni Tributarie avevano accolto i ricorsi e che i fatti contestati erano stati dichiarati insussistenti in sede penale. Pertanto ritiene la sentenza di ieri «manifestamente infondata oltreché palesemente illegittima sotto numerosi aspetti di rito e di merito», e confida che sarà annullata in seguito al ricorso in Cassazione che è già stato avviato.
In pratica i giudici romani riconoscono la piena correttezza e legittimità dell’operato de L’Espresso nel trattamento contabile e fiscale delle operazioni relative alle azioni La Repubblica. Ma allo stesso tempo affermano che le operazioni societarie avvenute all’interno del gruppo e funzionali alla quotazione in Borsa di La Repubblica siano state di carattere elusivo. Livia Salvini, avvocato de L’Espresso, ha così commentato il provvedimento: «La sentenza in esame si iscrive nel filone giurisprudenziale che rivendica all’Agenzia delle Entrate e ai giudici il potere di sindacare le scelte economiche e di strategia societaria dei contribuenti. Potere che lo stesso legislatore sta prevedendo di arginare nell’ambito della delega sulla riforma fiscale, prendendo atto della abnormità di pronunce che, anche sulla base di norme e di orientamenti giurisprudenziali neanche immaginabili quando le operazioni furono progettate e poste in essere, pretendono di disconoscerne i pretesi “vantaggi fiscali”». E, a difesa della correttezza dell’operato de L’Espresso, Salvini ha aggiunto: «Né è stato adeguatamente considerato il fatto che le operazioni contestate sono state programmate nel 1989, prima dunque che fosse emanata la prima norma antielusiva applicata dalla Commissione, risalente al 1990. Già solo da tale ultima circostanza emerge che la progettazione e la realizzazione dell’operazione di quotazione in Borsa, comunque sorretta da valide ragioni economiche e finanziarie, era stata fatta nel pieno rispetto delle norme vigenti. Di ciò era del resto pienamente convinta anche l’autorità giudiziaria penale, che decise il non luogo a procedere poiché il fatto non sussiste»
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