Monti teme che il suo “piano-crescita” venga oscurato dalla nuova emergenza
BRUXELLES – È un’Europa preoccupata e a corto di idee quella che incassa le drammatiche notizie in arrivo da Atene. L’annuncio del presidente Papoulias sulle nuove elezioni greche piomba su Bruxelles quando i ministri delle Finanze dell’Unione stanno chiudendo la due giorni Eurogruppo-Ecofin e Mario Monti si sta congendando dal presidente della Commissione Barroso, con il quale ha avuto un pranzo dedicato alla crescita. Il premier – con l’Italia in piena recessione e lo spread che torna prepotentemente intorno ai 456 punti – una preoccupazione più degli altri ce l’ha. E su questo nel chiuso della riunione incalza Barroso: «Dobbiamo evitare che l’Europa scivoli in una serie di vertici dedicati alla gestione della crisi greca anziché pensare al rilancio dell’economia». Insomma, per l’Italia il summit Ue del 23 maggio e quello decisivo del 28 giugno non dovranno essere fagocitati dal dramma greco e aggiungersi ai numerosi meeting salva-euro degli ultimi tre anni, ma dovranno restare, come previsto, dedicati al rilancio dell’economia. Perché, ragiona Monti, «se c’è un modo per non precipitare ancora nella crisi è proprio la crescita». Ma il premier non ignora gli enormi problemi che la Grecia creerà all’Unione.
A giugno Atene deve approvare 11 miliardi di nuovi tagli in cambio di un’altra tranche da 30 miliardi prevista dal pacchetto di aiuti internazionali da 130 miliardi. Senza l’assegno firmato Ue-Fmi-Bce il Paese andrà dritto verso il crac e l’addio alla moneta unica. E ancora, gli europei daranno più tempo ai greci per mantenere gli impegni presi in cambio degli aiuti? A capire la situazione aiutano le sensazioni di un ministro straniero – che vuole rimanere anonimo – reduce dalla due giorni Eurogruppo-Ecofin di Bruxelles. «Primo, l’Unione i 30 miliardi non li verserà se i greci non rispetteranno gli impegni. Secondo, anche una dilazione dei tempi per l’austerity potrebbe arrivare solo se tutti i partiti che vanno alle elezioni-bis di giugno assicureranno il rispetto totale del memorandum firmato con Ue-Fmi-Bce». Prospettive lontanissime.
Dunque l’Europa rischia davvero di finire di fronte al suo peggior incubo, dover fronteggiare le conseguenze di un’uscita della Grecia dall’euro. Quella che il governo italiano considera «uno scenario da scongiurare perché rischierebbe di innescare un contagio sistemico in grado di far saltare la moneta unica». Per ora Bruxelles non sta lavorando a un piano in grado di affrontare il cataclisma, nonostante ieri la numero uno del Fondo monetario, Christine Lagarde, abbia lanciato un appello: è ormai necessario studiare «un’uscita ordinata» della Grecia. Eppure di fronte a questo ulteriore appello Barroso a Monti ha ripetuto il ritornello che certo, «la situazione è difficile e andrà affrontata», ma comunque ora l’Unione è più protetta dal risanamento portato avanti in Italia e Spagna e dai Firewall, il fondo salva-stati da 700 miliardi che contrasterebbe l’effetto contagio. Tutto vero, ma per molti ministri queste barriere non basteranno. Come riassume il leader del Pd Bersani: l’uscita della Grecia «determinerebbe un effetto domino sull’Italia» e l’uscita dell’Italia dall’euro «sarebbe un disastro di proporzioni cosmiche».
Dal punto di vista finanziario le conseguenze di un abbandono di Atene sarebbero potenti, ma forse gestibili. Dopo il taglio del debito greco verso i privati (haircut) banche e risparmiatori hanno pochi crediti con il Tesoro ellenico. Gli stati Ue invece hanno versato nelle casse di Atene più di un centinaio di miliardi di aiuti che faticherebbero ad avere indietro e comunque non nei tempi concordati. Ma dovrebbero riuscire ad ammortizzare la botta. Il vero problema è politico: se esce la Grecia salta l’euro? Come reagirebbero i mercati? I ministri che hanno partecipato all’Eurogruppo sanno che ci vorrebbe un forte messaggio in grado di ribadire l’affidabilità della moneta unica e il fatto che nessun altro Paese ne uscirà . Ma dopo tre anni di pessima gestione della crisi sarà dura convincere i grandi investitori a non scappare dal continente e a non speculare sulla fine dell’Unione monetaria. Unica risposta sarebbe quella di dotare finalmente l’Europa delle armi che avrebbero chiuso la crisi già da tempo: Fondo salva-stati più robusto, Eurobond e Bce sul modello Fed. Ipotesi ancora lontanissime dai radar.
Questioni che rischiano di far deragliare il negoziato sulla crescita partito l’altro ieri con l’Eurogruppo destinato a proseguire nel summit Ue di maggio e giugno. L’incontro tra Monti e Barroso non è andato bene. Barroso pensa che si potrà ripartire con una serie di iniziative isolate messe insieme. Per Monti invece serve una «soluzione strutturale che permetta agli Stati di fare investimenti all’interno del rigore reinterpretando il Patto di stabilità ». Idee che il premier esporrà nella sua prima bilaterale con Hollande fissata a margine del G8 del fine settimana a Camp David. Monti si è reso conto che la sua proposta di Golden rule e moratoria dei debiti della pubblica amminstrazione non passeranno in tempi utili, ovvero entro giugno. Per questo a Barroso ha illustrato il suo piano B (che spera di far accettare come compromesso tra la linea della Merkel e quella di Hollande): una “mini Golden rule” che anziché scorporare i soldi spesi per investimenti dal conteggio di deficit e debito preveda che gli stati possano fare spese che generano «crescita potenziale», da abbonare nel risanamento. Ad esempio, se l’Italia spenderà per un progetto che farà salire dello 0,2% il suo Pil, potrà sottrarre questi due decimali al pareggio di bilancio previsto per il 2013: non dovrà portare il deficit allo 0,5% ma allo 0,7% aspettando gli effetti dei suoi investimenti. La partita è aperta.
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