MESSICO E IMPEGNO ADDIO A FUENTES

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«Non ho paure che riguardino la letteratura. Ho sempre saputo molto bene quello che intendevo fare. Mi alzo la mattina e mi metto subito a scrivere con gli appunti sotto mano». Le parole di Carlos Fuentes, lo scrittore messicano morto ieri a 83 anni, raccolte qualche giorno fa da El Paà­s alla Fiera del libro di Buenos Aires, sono diventate il suo testamento. Quello di un uomo che aveva abbracciato il mestiere di scrivere senza false umiltà . Aveva altri progetti sulla scrivania, Fuentes. Un libro appena terminato, Federico en su balcà³n, dove il Federico del titolo è niente meno che Nietzsche resuscitato, con cui l’autore inizia a dialogare. E un romanzo che avrebbe cominciato a giorni, di cui però era già  pronto il titolo ironico: El baile del centenario, ultimo di una trilogia dedicata al Messico. 
Del Messico Fuentes era narratore, ma anche voce critica. Perché non c’era solo la fiction nel suo orizzonte di scrittore. Nato nel 1928 a Panama, da padre diplomatico (lo sarà  anche lui, ambasciatore a Parigi, dove incrocerà  gli amori Jeanne Moreau e Jean Seberg), Fuentes cresce tra le ambasciate di Stati Uniti e Sudamerica. Con i coetanei “latini” Mà¡rquez (con cui firma una sceneggiatura) e Vargas Llosa condivide l’esperienza di reporter, prima che di scrittore. Con loro contribuisce a far rinascere il romanzo latinoamericano e a lanciarlo nel mondo, ma mai amerà  le definizioni per le sue opere. Sarà  il meno “magico” dei realisti. Esordisce nel 1954 con la raccolta di racconti I giorni mascherati: «Ho cominciato con questa forma letteraria, fa parte della mia formazione balzacchiana», dirà , citando l’amore per un italiano anticonvenzionale come Tommaso Landolfi, di cui cita la vena fantastica, vedi le storie de L’albero delle arance o Le relazioni lontane. Contemporaneamente si muove come protagonista nel vivace panorama delle riviste del dopoguerra: Revista Mexicana de Literatura e El Espectador. Il disincanto, gli ideali politici disattesi fanno da sfondo a La morte di Artemio Cruz, ma anche a L’ombelico della luna. 
Il racconto storico, la realtà  alternata al fantastico avevano ceduto il passo in questi anni a una certa vena grottesca. I racconti di Tutte le famiglie felici (pubblicato da il Saggiatore come gran parte della sua opera, ultimo titolo: Destino), citando il Tolstoj di Anna Karenina, rovescia l’assunto del titolo. E diventa una farsa in cui la serenità  familiare viene continuamente violata. Alla produzione letteraria, Fuentes aveva finito per affiancare la critica con il saggio La gran novela latinoamericana e a chi gli chiedeva perché non citasse Roberto Bolaà±o diceva che non l’aveva letto. Ma anche la denuncia, analizzando il problema del narcotraffico e i legami dell’industria della droga con gli Stati Uniti, fino a firmare il pamphlet Contro Bush (Tropea). Nell’ultima intervista a El Paà­s, vanta la sua maestria nel tango, elogia Libertà  di Jonathan Franzen. E svela la sua ricetta per restare giovane: «Lavorare tanto e avere sempre un progetto da realizzare».


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