Macao, silenzio stampa dopo il nuovo sgombero

by Editore | 23 Maggio 2012 9:24

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Macao è in silenzio stampa. Lasciamo perdere l’ingenuità  del collettivo che sta provando sulla propria pelle quanto sia complicato essere veramente un collettivo senza tante ipocrisie, anche se trincerarsi dietro ai no comment dopo essere stati capaci di ottenere il benevolo ascolto di mezza città  – giornali mainstream compresi – appare quantomeno singolare. Diciamo allora che Macao ha deciso di prendersi una pausa di riflessione dopo un altro sgombero più che annunciato. Davvero qualcuno si era illuso di poter restare in un palazzo del ‘700 le cui sorti dipendono dal ministero dei beni culturali? Quando poliziotti e soldati (c’era anche l’esercito) ieri sono entrati nel cortile di Palazzo Citterio – luogo abbandonato da 40 anni e ora destinato al rilancio con il progetto della «grande Brera» finanziato con milioni di euro – hanno incrociato una sessantina di ragazzi e lo striscione La vostra politica crea il vuoto . Nessuna resistenza, nessun atteggiamento barricadero o arrogante, da una parte e dall’altra. Quello che colpisce, però, è il silenzio di Milano che ha accolto il secondo sgombero con ben altra attitudine rispetto alla gloriosa discesa dalla Torre Galfa di dieci giorni fa. Macao aveva dovuto lasciare il grattacielo di Ligresti, luogo simbolo della nefasta commistione tra la politica e gli interessi dell’immobiliarismo finanziario, ma aveva saputo conquistare il favore di migliaia di persone, tanto che con colpevole ritardo anche il sindaco Pisapia aveva sentito l’esigenza di dare il proprio appoggio politico ai ragazzi e alle ragazze che in seguito, per quattro giorni, hanno trasformato una via centrale della città  in una straordinaria agorà  aperta. Il sindaco non poteva evitare lo sgombero della torre, ma almeno ha provato ad offrire un’alternativa; impraticabile, è vero (gli spazi ex Ansaldo), ma comunque rifiutata da Macao con una spocchia piuttosto irritante. Adesso, invece, l’atteggiamento prevalente degli amici di Macao è lo smarrimento. E tutti cominciano a domandarsi cosa vogliono, e perché si siano cacciati in un vicolo cieco scegliendo di trasferirsi in uno spazio monumentale impossibile da autogestire. Il fatto di essersi ostinati a non occupare uno spazio del Comune di Milano – che forse non avrebbe chiamato la polizia – magari scegliendo di ridare vita ad un luogo abbandonato lontano dal lussuoso salotto di Brera, ai più è sembrato un capriccio. E, infatti, non ha portato ad alcun risultato. In fondo adesso servono solo quattro mura per poter concretamente realizzare i tanto sbandierati progetti artistici autogestiti. E poi, chi sta decidendo cosa fare e cosa occupare? Se si avesse il coraggio di liberarsi dalla retorica dell’orizzontalità  assembleare, si potrebbero nominare i problemi per quello che sono. Per esempio, ci sono «professionisti» milanesi dell’autogestione da anni su piazza che con pazienza stanno tollerando le intrusioni e le impuntature ideologiche di chi non conosce Milano e i suoi equilibri, rischiando di compromettere un’esperienza che gode di un favore straordinario. Ma ancora non per molto. Milano non è la Roma dell’ottimo teatro Valle e avere a che fare con Pisapia è cosa ben diversa che fare muro contro Alemanno. Ai ragazzi di Macao è sfuggita di mano la situazione favorevole ma complessa che sono stati in grado di creare. A questo punto bisogna prendere una decisione. Vale la pena perdere questa occasione per trasformare tutto in una questione di principio, in un assurdo braccio di ferro in punta di diritto per rivendicare la legittimità  astratta del «benecomunismo»? Se si vogliono davvero mettere alla prova e smascherare le contraddizioni del potere – fosse anche la giunta Pisapia – l’unica strada è prendersi un posto dove poter pensare e agire liberamente senza essere sgomberati il giorno dopo. Qui, a Milano, il contesto permetterebbe di raggiungere questo obiettivo. Un luogo abbandonato di proprietà  del Comune. Solo così vedremo se il sindaco Pisapia sarà  in grado di affrontare le prevedibili resistenze anche all’interno della sua maggioranza. Una strada troppo poco rivoluzionaria? Sciocchezze.

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