Lucide pagine per svelare nei dettagli l’orrore coloniale

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«Arrivato a Matadi il 13 giugno 1890. Fatto amicizia con Roger Casement, cosa che riterrei un gran piacere in qualsiasi circostanza e che quaggiù diventa una vera fortuna. Pensa, parla bene. Estremamente intelligente e molto comprensivo[…]Attraverso R.C. ho conosciuto Underwood, direttore dello stabilimento inglese di Kalla Kalla (…) Il 24, Gosse e R.C. partiti per Boma con una grossa partita di avorio». E’ da pochi, scarni riferimenti, poco più che cenni affidati alle pagine del suo Diario del Congo che – attraverso le parole di Joseph Conrad – molti di noi hanno incontrato la figura di Roger Casement (1864-1916), eroe dell’indipendenza irlandese, poi arrestato e impiccato dagli inglesi, che il grande scrittore polacco incrocia a più riprese nel corso della sua esperienza africana. I due si incontrano, condividono un breve tratto di quella esperienza, fanno amicizia, e dopo pochi giorni si separano: «Lasciata Matadi insieme a Mr.Harou e a una carovana di 31 uomini. Preso congedo da Casement in termini di grande amicizia. Gosse ci ha accompagnati fino alla stazione statale», scrive Conrad su quelle stesse pagine quindici giorni più tardi. La ferocia europea Matadi è per entrambi il punto di partenza per la risalita del fiume Congo, un viaggio breve, che per entrambe si rivelerà  fondamentale. Conrad risalirà  quel fiume al comando di un battello per conto di una compagnia di navigazione belga per la quale lavora. Roger Casement è impegnato nell’organizzazione dei trasporti nell’area del Basso Congo. Ma quel percorso rappresenterà  per ciascuno un punto di svolta della propria esistenza, la presa di coscienza della cieca e insensata brutalità  del colonialismo europeo, che nella parte di continente che attraversano è nelle mani dei belgi. È lì, nell’ultimo frammento di Africa a cadere nelle mani del colonialismo, che gli europei danno il peggio di sé, con inaudita ferocia nei confronti dei nativi africani. Uno spettacolo dal quale sia Conrad che Casement rimarranno indelebilmente segnati. Il primo deciderà  di non navigare mai più, si trasferirà  in Inghilterra e comincerà  a scrivere, consegnando al mondo quel piccolo capolavoro che è Cuore di tenebra , scritto nel 1898 e pubblicato nel 1902. L’altro, Roger Casement, continuerà  a lavorare e vivere in Africa, in Nigeria, alle dipendenze del governo britannico, poi in Mozambico, in Angola, e ancora in Congo, con incarichi consolari; di nuovo risalirà  il fiume Congo, di nuovo i suoi occhi saranno testimoni di violenze, mutilazioni, uccisioni di massa, sistematicamente perpetrate in un territorio, Lo Stato Libero del Congo, che di lì a breve, nel 1908 verrà  ufficialmente annesso dai belgi. Ma questa volta di tutto questo scriverà , non in forma narrativa ma documentale, in quel Rapporto sul Congo che, scritto in sette giorni nel 1903, verrà  pubblicato nel 1904, suscitando nell’opinione pubblica una ondata di indignazione senza precedenti. Una copia del quale Roger Casement consegnerà  al suo amico Joseph Conrad per sollecitarne il sostegno nei confronti di un movimento che si proponeva di far conoscere le atrocità  commesse dai belgi in Africa e le dirette responsabilità  di re Leopoldo. Il crudele sovrano belga Che questo Congo Report esistesse e che fosse un documento assai rilevante per la comprensione di quello che a giudicare dalle dimensioni appare a tutti gli effetti un genocidio, forse il primo tra otto e novecento, era noto agli studiosi dell’Africa e del colonialismo, ma non al grande pubblico, tantomeno quello italiano. Dobbiamo pertanto essere grati alle Edizioni Fuorilinea per aver scelto di pubblicare la versione italiana, qui in una edizione molto curata, sia nella traduzione che nell’apparato critico che la accompagna, a cura di Mario Scotognella (Fuorilinea, pp. 187, euro 16) dalla quale traiamo una messe di informazioni relative a quell’area dell’Africa centrale che nel 1908 diventerà  ufficialmente il Congo Belga, regno di Re Leopoldo, il cui incontrastato e crudele dominio su quel territorio, ancorché breve – il sovrano morirà  infatti nel 1909 – ha lasciato un segno indelebile nella storia del Continente; reso celebre da un famoso monologo di Mark Twain intitolato Il soliloquio di Re Leopoldo , nel quale il Re, alla stregua di un personaggio del Macbeth, pronuncia una lunga e dettagliata autoaccusa. Ma di nuovo, con Twain siamo nel regno della creatività  letteraria. Al contrario, Il Rapporto sul Congo ci riconduce su un terreno di realtà  storica. Il testo è strutturato come un resoconto di viaggio, intrapreso da Roger Casement per conto del Foreign Office con il preciso intento di raccogliere informazioni dettagliate sul territorio, sulle popolazioni che incontra, sui centri abitati che attraversa, sui cambiamenti rispetto a quanto aveva già  visto nel corso del precedente viaggio di sedici anni prima, quando la presenza degli europei era assai meno rilevante. Il resoconto è ordinatamente strutturato a partire dal territorio. Lo sguardo che sui luoghi si posa è quello di chi è attento a ogni dettaglio. Mezzi di trasporto di terra e di mare e loro grado di efficienza; qualità  della vita delle popolazioni che vi abitano, che risulta faticosa, falcidiata dalle malattie, prima fra tutte la malattia del sonno. E i grandi centri, come Leopoldville, dove gli europei conducono vite agiate e confortevoli, in stridente contrasto con la desolazione di quelle degli africani che, in cambio di duro lavoro, ricevono come ricompensa dei pezzi di filo d’ottone. Accanto a poveri villaggi con capanne di fango. Missionari smemorati Chi scrive elenca dati relativi alle distanze, alle popolazioni incontrate, agli usi e costumi di europei ed africani, allo sfruttamento dei nativi, alla distruzione del territorio sistematicamente perpetrata dagli europei. Descrive gli alberi della gomma, grande risorsa di quella parte dell’Africa, per raccogliere la quale si sottopongono i nativi a disumani ritmi di lavoro, punendo coloro che si ribellano con la mutilazione dei corpi, delle mani, in particolare, di inaudita crudeltà . Il Rapporto non tralascia nulla: dati, cifre, norme di legge violate, ma anche storie di singoli individui, racconti di vicende di persone e gruppi, con attenzione ai più deboli, donne e bambini. Il tutto all’ombra della presenza dei missionari, testimoni troppo spesso inerti di un lungo momento buio della storia del Continente, di quel suo cuore di tenebra , che la scrittura lucida e appassionata di Roger Casement, come già  quella del suo amico Joseph Conrad, ponevano davanti alla cattiva coscienza dell’Europa.


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