«Terrorismo, c’è un clima pesante»

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GENOVA — «C’è un clima teso e pesante nel Paese». L’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne non lo nega. Al contrario, dice che quell’atmosfera di tensione «la sento immediatamente ogni volta che torno in Italia», quasi una percezione fisica che «si sente nell’aria». 
Risponde così, il numero uno del Lingotto (dal Salone del libro di Torino), a chi gli chiede del clima che si respira in Italia dopo l’attentato al manager genovese di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi. Sul pericolo di un’escalation di azioni violente dopo la gambizzazione di Adinolfi, Marchionne considera: «Il rischio c’è, credo di sì». 
La situazione è complicata anche dalla quantità  di ipotetici obiettivi sensibili da un capo all’altro della Penisola. Così tanti che il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri pensa di chiedere l’aiuto dell’esercito per la tutela degli obiettivi fissi. «L’esercito è prontissimo a fare la sua parte nei termini che il Paese ci chiederà » fa sapere il capo di Stato Maggiore, generale di corpo d’armata Claudio Graziano. «Uomini e donne dei nostri reparti — dice — hanno le professionalità  e le capacità  di estendere la loro attività ». Quanto dovranno eventualmente estenderla si capirà  entro giovedì, giorno del Comitato per l’ordine e la sicurezza convocato dallo stesso ministro Cancellieri: sul tavolo ci dovrà  essere un piano che garantisca la massima protezione ai luoghi e alle persone probabili bersagli degli anarco-insurrezionalisti. 
Prima ancora che si decida sull’impiego dei militari, è già  arrivata una bocciatura. Sabina Rossa, parlamentare del Pd e figlia di Guido, il sindacalista ucciso dalle Br a Genova nel 1979, dice a Lucia Annunziata (In Mezz’ora, su Rai3) di avere «dei dubbi sulla presenza dell’esercito» che «abbiamo già  visto», di essere convinta che «la repressione non sia sufficiente» e di pensare che occorra «sicuramente alzare il livello di guardia, vigilare», che «il sindacato debba essere sempre più presente nei luoghi della democrazia».
Sul fronte delle indagini molto è ancora concentrato sull’analisi della rivendicazione e sulla mappatura di persone e luoghi dell’area antagonista. A Genova, ma anche nelle altre città  d’Italia. Non c’è Ros o Digos che non abbia i riflettori puntati sugli anarchici di casa propria e che non stia cercando di captare possibili segnali d’allarme. Anche a partire dal moltiplicarsi di appelli via web partiti in questi ultimi giorni dagli anarchici informali detenuti in Grecia o nelle carceri serbe e spagnole. Sono gruppi che invitano ciascuno a colpire questo o quell’obiettivo. I francesi indicano i commissariati, i greci ordinano di attaccare i manager, i serbi vedono nemici nelle banche e nei ministeri e tutti si scambiano solidarietà  per «i fratelli e le sorelle» in prigione.
Gli antagonisti dell’area più dura che hanno avuto un periodo di detenzione sono oggi osservati speciali da diverse procure, soprattutto se la loro «lotta» riguarda gli stessi argomenti citati nella rivendicazione del caso Adinolfi. Per esempio Costantino Ragusa, 34 anni, del centro sociale «Il Silvestre» di Pisa, sua moglie Silvia Guerini, 30 anni, e l’amico Luca Bernasconi (Billy), ticinese, 27 anni. Furono arrestati in Svizzera ad aprile del 2010 nel Canton Zurigo: stavano organizzando l’attentato al centro di ricerca sulle nanotecnologie dell’Ibm, all’epoca ancora in costruzione a Rà¼schlikon. Avevano in macchina quasi mezzo chilo di esplosivo e volantini di rivendicazione a firma di un movimento svizzero ecoterroristico.


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