«Sotto assedio come in un fortino E c’è chi incita alla rivolta fiscale»

by Editore | 4 Maggio 2012 8:35

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ROMA — Solo alle nove di sera Attilio Befera ha potuto tirare un sospiro di sollievo, quando il suo impiegato di Romano di Lombardia, vicino a Bergamo, è stato liberato dopo essere stato per più di cinque ore ostaggio di un uomo armato nella sede locale dell’Agenzia delle entrate. Per tutto il pomeriggio, il direttore dell’Agenzia ha seguito il caso dal suo ufficio, all’ottavo piano della sede di via Cristoforo Colombo a Roma, in stretto contatto con i dirigenti di Bergamo e della Lombardia che erano sul luogo della drammatica vicenda. Alla fine tutto si è concluso bene, ma ciò non toglie nulla alla preoccupazione, all’allarme e anche al disappunto di Befera e dei suoi collaboratori. Che si sentono come in un fortino assediato, «colpevoli» solo di applicare le leggi, di svolgere l’ingrato compito di far pagare le tasse. 
Fino a ieri le intimidazioni e gli attentati avevano riguardato Equitalia, la società  della stessa Agenzia e dell’Inps, che è in prima linea, perché incaricata della riscossione dei tributi e delle imposte evase. Da ieri anche l’Agenzia è finita direttamente sul fronte più incandescente, alimentato dalla crisi che, solo in questa prima parte del 2012, ha spinto decine imprenditori al suicidio, e ha portato alcuni settori della politica a soffiare sul fuoco della rivolta fiscale. Ora, osservano i più stretti collaboratori di Befera, è chiaro che se si avvelena il clima, non bisogna stupirsi che qualcuno pensi di risolvere i problemi assaltando armi in pugno gli uffici dell’Agenzia e prendendo in ostaggio impiegati che stanno facendo solo il loro dovere per uno stipendio di 1.200-1.300 euro al mese. 
Appena due settimane fa Befera, 65 anni, romano, portato ai vertici del ministero delle Finanze già  nel 1997 da Vincenzo Visco (Pd) e nominato alla guida dell’Agenzia delle Entrate nel 2008 da Giulio Tremonti (Pdl), aveva annunciato l’intenzione di aprire uno sportello amico in tutti i 400 uffici territoriali dell’Agenzia: «Uno sportello che cerchi di risolvere i problemi che hanno le singole persone a pagare». «Noi — aveva spiegato nel programma di Maurizio Belpietro La Telefonata — non possiamo che applicare le norme. E quanto agli interessi e alle sanzioni, questi non vanno a Equitalia, ma a favore degli enti impositori». «Capiamo però — aveva aggiunto — che in un momento come questo bisogna aiutare chi è in difficoltà . Per questo rateizziamo tutte le volte che è possibile, ma vogliamo andare anche oltre». Ecco quindi la decisione di aprire lo sportello amico in alcune sedi, con l’idea di estenderlo a tutte.
Ma nelle ultime settimane il clima è peggiorato, la tensione è salita. Non è più solo Beppe Grillo a incitare alla rivolta fiscale, ma c’è anche la Lega che sprona i sindaci a boicottare l’Imu e a «licenziare Equitalia», cioè rompere il contratto con la società , di cui lo stesso Befera è presidente, per la riscossione dei tributi locali. Un’assurdità , replicano dal palazzone di via Cristoforo Colombo. Va bene che domenica ci sono le elezioni amministrative, osservano, ma si tratta di argomenti che non stanno in piedi. È la legge infatti, la 201 del 2011, a prevedere che i comuni non possano più avvalersi di Equitalia per incassare multe e tasse locali non pagate. Una norma che proprio Befera chiese al governo perché non ne poteva più di gestire la riscossione dei comuni che gli procurava più che altro contenzioso: tipico il fenomeno delle cosiddette cartelle pazze (per esempio le multe già  pagate) generato, secondo Equitalia, dal fatto che i dati passati dai comuni non erano aggiornati. Ed è stata invece l’Anci, cioè l’associazione dei comuni, a chiedere allo stesso governo la proroga di un anno del contratto con Equitalia perché altrimenti i municipi non saprebbero come organizzarsi per ottenere un servizio di riscossione efficiente. 
Erano state proprio le cartelle pazze a far finire Equitalia sul banco degli imputati tra il 2010 e il 2011. Ma anche alcuni errori che lo stesso Befera aveva riconosciuto con due lettere ai 33 mila dipendenti dell’Agenzia. L’ultima firmata esattamente un anno fa, il 5 maggio 2011. Dove, tra l’altro, si legge: «Continuo a ricevere segnalazioni nelle quali si denunciano modi di agire che mi spingono adesso a rivolgermi direttamente a tutti voi per richiamare ognuno alle proprie responsabilità  e ribadire ancora una volta che la nostra azione di controllo può rivelarsi realmente efficace solo se è corretta. E non è tale quando esprime arroganza o sopruso». Quindi, «se un accertamento non ha solido fondamento, non va fatto e se da una verifica non emergono fatti o elementi concreti da contestare, non è corretto cercare a ogni costo pseudoinfrazioni formali da sanzionare». Invece, «devono valere sempre disponibilità , cortesia, capacità  di ascolto». Quella che ormai sembra essere venuta definitivamente meno al solo nominare la parola Fisco.

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