by Editore | 30 Maggio 2012 7:34
«Mio cognato Mohamad mi chiamava ogni giorno e piangeva, mi diceva che non era sicuro, che aveva due figli a cui pensare e aveva paura ad andare a lavorare. I danni si vedevano ma il padrone lo chiamava lo stesso», racconta Abdel, accorso ieri insieme a tanti connazionali nel piazzale antistante l’edificio. «Kumar era stato chiamato dal proprietario perchè la ditta doveva andare avanti e lui è dovuto andare a lavorare perchè non poteva permettersi di perdere il posto», racconta Singh Jetrindra, rappresentante della comunità punjab di San Felice. L’attività alla Meta era ripresa proprio ieri. Le verifiche sull’agibilità , raccontano, avevano dato esito positivo. Il padrone era in fabbrica e si è salvato per un soffio.
Come è possibile. Ora se lo chiedono tutti. Ancora una volta è il mondo del lavoro a pagare il prezzo più alto del sisma che ieri ha scosso nuovamente l’Emilia. Almeno dieci operai morti, moltissimi dispersi e un bilancio drammatico che si aggiorna di ora in ora. «Molti di coloro che non si trovano sono lavoratori che probabilmente stanno sotto le macerie dei posti di lavoro, è una catastrofe» dice Antonio Mattioli, della Cgil regionale.
Fabbriche e chiese che si sgretolano come castelli di sabbia. Il capannone della Meta, come anche quello della Haemotronics a Medolla sotto le cui macerie sono morti tre operai, era già stato pesantemente danneggiato dal sisma del 20 maggio scorso. «Siamo tornati a lavorare lunedì con il beneplacito delle autorità », dice Mattia Ravizza, titolare della Haemotronics. Giacomo Bisoli, figlio del titolare della Bbg di San Giacomo Roncoli a Mirandola, conferma di avere depositato la perizia positiva alla riapertura della fabbrica e di avere coinvolto nei controlli anche la ditta costruttrice del capannone.
Alla Meta di San Felice, insieme a Mahamad e Kumar è morto anche l’ingegnere italiano che stava facendo rilievi sull’agibilità della fabbrica. Alla Aries Biomedicale di Mirandola è morto uno dei due titolari. Alla Bbg di San Giacomo sono morti uno dei due titolari e due operai.
Le macerie del sisma sopra quelle della crisi. Quattromila circa dei venticinquemila abitanti di Mirandola lavorano nel comparto biomedicale. Il primo polo europeo del settore biomedico, spiegano dal Comune, dove con il sisma l’80 percento della fabbriche è crollata o è stata resa inagibile. «Le scosse di ieri hanno messo in ginocchio interi distretti industriali e artigiani», dice ancora Mattioli, «e se la scorsa settimana parlavamo di 12 mila persone senza lavoro ora non oso pensare a quanti siano».
«È gravissimo che si sia ripreso a lavorare senza avere verificato le condizioni di sicurezza degli edifici industriali e ben sapendo che le scosse sarebbero continuate», punta il dito la Fiom: «Per questa ragione riteniamo indispensabile che la ripresa del lavoro avvenga solo quando, dopo le necessarie e opportune verifiche, si sia certi che i capannoni industriali siano in sicurezza». Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno attivato una raccolta di fondi per sostenere le popolazioni travolte dal sisma. «Stavolta la tragedia e la morte di questi operai si sarebbe potuta evitare, quei lavoratori non dovevano essere lì ieri mattina», dice Raffaele Bonanni (Cisl). Parole simili a quelle di Susanna Camusso (Cgil): «Il fatto che sono di nuovo i lavoratori a lasciarci la vita mi fa pensare che non si sia proceduto alla messa in sicurezza degli stabilimenti prima di far tornare le persone al lavoro».
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