by Editore | 11 Maggio 2012 7:01
Più di un’ora sotto il fuoco di fila di domande e mail dei lettori. Il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha accettato l’invito del Corriere.it a confrontarsi sul tema delle partite Iva. Si tratta del primo caso di incontro diretto tra il ministro del Lavoro e una categoria senza una vera rappresentanza sindacale come è quella del cosiddetto «popolo delle partite Iva». All’incontro hanno partecipato Anna Soru, presidente Acta, Associazione Consulenti Terziario Avanzato, Giuseppe Lupoi, presidente Colap (Coordinamento delle libere associazioni professionali) e Costanzo Ranci, professore di sociologia economica al Politecnico ed esperto in tema di welfare. Sono state quasi 1.200 le mail pervenute al Forum del Corriere da parte di giovani in cerca del primo lavoro, cinquantenni costretti a rimettersi a caccia di una nuova occupazione, «partite Iva mascherate» e lavoratori autonomi spaventati dal futuro. Ecco i principali argomenti del confronto
Secondo la riforma del lavoro l’aliquota contributiva per le partite Iva dovrebbe salire dal 27 al 33%, una quota profondamente contestata e definita insostenibile.
Esiste tra gli studiosi una regola chiamata del pollice: per ottenere una pensione adeguata bisogna risparmiare. I contributi sono una forma di risparmio nell’età attiva e servono a costruire una pensione dignitosa. Per riuscirci bisogna accantonare circa un terzo del reddito e il 33% equivale proprio a un terzo. Non bisogna dimenticare che i lavoratori atipici sono quelli che in questi anni hanno convissuto con il timore di versare contributi che poi non avrebbero generato un pensione dignitosa e adeguata. Adesso invece vorrei tranquillizzare i contribuenti autonomi sulla finalità di questa aliquota: l’aumento dei contributi al 33% serve ai giovani per avere pensioni più dignitose quando usciranno dal mercato del lavoro. Nulla di quanto versato verrà perso è un contributo per i giovani professionisti che altrimenti rischierebbero di vivere in condizione di indigenza in futuro.
Un versamento previdenziale al 33% permetterebbe allo Stato di incassare subito costringendo le partite Iva a una contrazione del reddito proprio nel momento più acuto della crisi. Gli autonomi si sentono utilizzati come il Bancomat del paese. Sono in molti a minacciare la fuga dalla gestione separata dell’Inps
È indubbio che l’incasso dello Stato avviene subito perché il sistema pensionistico non funziona per accantonamenti ma con l’immediata spesa di ciò che viene versato. Però da quando esiste il sistema contributivo tutto è più trasparente e immediato: a ogni versamento corrisponde un accredito sul libretto pensionistico. Non nego che accantonare un terzo del proprio reddito sia faticoso, specie quando si tratta di cifre non elevate, ma ogni soldo versato ritornerà disponibile al momento della pensione. Se oggi un atipico si rivolgesse a un advisor, non riceverebbe un consiglio migliore.
La gestione separata dell’Inps è la cassa che offre il minor ritorno ai contribuenti. C’è uno studio che sostiene che se si versassero le stesse somme allo Stato in Btp si avrebbe un ritorno due volte e mezzo maggiore.
Se si confrontano i rendimenti dei versamenti fino a oggi con quelli garantiti dai titoli di Stato è vero che si riscontra una disparità . Ma il mercato finanziario è soggetto a crisi mentre la crescita del paese, legata al Pil, nel lungo periodo può essere più redditizio. Se l’economia torna a crescere quel tasso diventa assolutamente competitivo con i rendimenti dei mercati finanziari e con molti meno rischi. Anche questo è uno dei motivi cardine per far sì che la nostra economia torni a crescere: le pensioni pubbliche sono legate all’andamento del Pil ed è fondamentale per il futuro del nostro paese che l’economia si rimetta in moto.
Il professionista autonomo sul mercato si confronta con professionisti iscritti agli ordini professionali che devono versare, per legge, il 14% alla loro previdenza. Questa enorme disparità di aliquote crea una concorrenza sleale e gli autonomi, non protetti dagli ordini, sono meno competitivi e finiscono fuori mercato
Gli ordini professionali hanno casse autonome che consentono, grazie alla loro indipendenza, un sistema molto premiante come quello del calcolo retributivo. Ciò che il governo ha potuto fare è chiedere una sostenibilità per i prossimi 50 anni: cioè le casse delle professioni ordinistiche dovranno dimostrare di poter pagare le pensioni usufruendo dei versamenti dei propri iscritti e senza utilizzare il patrimonio. Se queste pensioni non saranno adeguate anche lì si cambierà l’aliquota. In quelle casse ci sono semi di instabilità : per questo chiedo che provino la loro sostenibilità , per evitare che in futuro si dovessero trovare nell’esigenza di chiedere un soccorso pubblico, per questo non sarebbe accettabile. Se non dimostreranno di poter sostenere questo equilibrio di bilancio, chiederemo anche a loro di cambiare.
Rimane il nodo di come distinguere le vere partite Iva da quelle «mascherate». Sono tanti i lavoratori costretti ad aprire partita iva per poter lavorare per mono committenti che, di fatto, sono equiparabili a datori di lavoro. Ma non è ben chiaro come la nuova legge possa distinguere i veri dai falsi.
Un’idea guida per la riforma dei lavoratori, per quello che riguarda il mondo del lavoro flessibile, è proprio la distinzione dal lavoro autonomo vero da quella che è una forma di precariato nascosto dalla partita iva o da forme di contratto flessibile. Uno dei nostri obiettivi primari è proprio quello di separare ciò che è buono, il lavoro autonomo fatto per scelta, da ciò che è cattivo, ogni forma di sfruttamento e di precarietà fuori legge. Per raggiungere un simile risultato abbiamo individuato tre parametri dando istruzioni chiare agli ispettori del lavoro: se due di queste tre condizioni dovessero essere riscontrate ci troveremmo al cospetto di lavoro dipendente mascherato da autonomo. I tre parametri sono: disporre di una postazione di lavoro presso il committente, avere il 75% del reddito dichiarato riconducibile allo stesso cliente e provare un impegno temporale continuo di sei mesi presso lo stesso committente. In Parlamento è stato avanzato un emendamento, che io ritengo condivisibile, che prevede un ritocco ai tre parametri: la postazione di lavoro deve essere fissa, la quota di reddito passa dal 75 al 80% e i mesi di collaborazione ininterrotta salgono da sei a otto. Una griglia ragionevole attraverso la quale passa il lavoro realmente autonomo, che intendiamo difendere, ma che non deve più far passare forme di precarietà inammissibili.
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