Lotte di clan all’ombra del potere
Un ispettore di polizia e un capoguerrigliero. Due archetipi dell’eroe positivo. L’uno, il poliziotto, è rappresentato di solito come colui che risolve il mistero grazie ad abilità , coraggio, abnegazione. L’altro, il guerrigliero, è il simbolo vivente della ribellione, della lotta contro il potere, dell’anelito alla libertà , alla giustizia. Non sempre però le convenzioni vengono rispettate. E così, nel nuovo romanzo di Piergiorgio Pulixi, Una brutta storia (e/o, pp. 445, euro 16) il poliziotto e il guerrigliero incarnano il male.
Un male umano, troppo umano. Perché i due, Biagio Mazzeo e Sergej Ivankov, conservano la loro umanità anche nelle nefandezze che compiono. Mazzeo è un uomo che ama intensamente, un generoso. Alla Narcotici, dove lavora, mette su una squadra di poliziotti che combatte il crimine col pugno di ferro, ma che, soprattutto, ha preso il controllo delle strade della città . Una sorta di famiglia di sbirri corrotti, tenuta insieme da amicizia, affetto, rispetto, in grado di gestire traffici di droga, rapine, omicidi, mantenendo l’ordine e apparendo – ed essendo – assolutamente efficiente agli occhi di tutti. Ivankov, invece, è un ex-professore di filosofia ceceno, che ha preso le armi, ribellandosi contro la dura occupazione russa del proprio paese. In poco tempo, agli occhi della sua gente, è diventato una leggenda. Anche lui risulta umano nella descrizione di Pulixi, soprattutto quando, a seguito di un episodio spaventoso, decide di abbandonare la guerra agli oppressori per creare, con i compagni di guerriglia, un clan mafioso che in breve diventa una dei più temuti e rispettati di tutta la Russia. Il destino metterà l’uno contro l’altro i due clan quando, durante una rapina ordinata dal gruppo dei poliziotti per punire un trafficante che ha «sgarrato», viene ucciso il fratello di Sergej Ivankov, Goran. Scoppierà allora una guerra totale e devastante – e proprio nel momento in cui il gruppo di Mazzeo sta per compiere il colpo della vita, che gli dovrebbe consegnare la gestione del traffico di droga in città .
La narrazione di Piergiorgio Pulixi si sviluppa in modo corale e si caratterizza per l’approfondimento psicologico delle figure principali. Così dei componenti della banda di Mazzeo, come dei personaggi del gruppo ceceno emergono gli aspetti interiori più profondi, positivi e negativi. Vien fuori, allora, una visione del male intrisa di umanità – e forse proprio per questo ancora più vera – pure nei personaggi più violenti. È come se, avvicinando l’obiettivo, il quadro perdesse la nettezza dei contorni. E anche i pochi personaggi positivi rivelano caratteristiche non proprio in linea con l’archetipo del «buono». Così, c’è chi sfoga la propria frustazione su chi è più debole o chi, scottato da esperienze precedenti si rifiuta – per ora – di combattere contro Mazzeo. Oppure, ancora, chi si muoverà contro gli sbirri corrotti, ma sulla base delle proprie ambizioni.
Ma a colpire di più è quell’elemento di sovversione che caratterizza forse ogni vero noir, ovvero il discorso sul potere. La capacità , cioè, che questi romanzi hanno di svelare i meccanismi di sopraffazione volti al mantenimento dello status quo. Fatto questo evidente per il branco di Mazzeo, dato che emerge con chiarezza come l’appoggio dei vertici al gruppo sia funzionale al mantenimento dell’ordine costituito. Più sfumato riguardo alla famiglia mafiosa russa che comunque risulta accettabile al potere nella sua nuova veste, anche se prima, in quanto formazione guerrigliera andava combattuta. Viene in mente una frase di Dostoevskij – autore, tra l’altro di un racconto intitolato proprio Una brutta storia – che recita: «La civiltà ha fatto l’uomo più spietato di quanto non lo fosse una volta».
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