«Marciare, non marcire» L’Emilia non è il Friuli
È successo davvero. Ma nel 1976, dopo il terremoto del Friuli. Quest’anno invece la parata ci sarà , nonostante sia arrivata fortissima dalla rete la richiesta di cancellarla, per destinare i fondi risparmiati alle popolazioni colpite dell’Emilia. È stato il presidente della Repubblica a confermare la rivista militare e lo ha fatto per una strana coincidenza proprio da Gemona, il luogo simbolo del terremoto del Friuli.
«Celebreremo il 2 giugno», ha detto ieri pomeriggio Giorgio Napolitano, come «conferma della vitalità e della forza democratica del paese che saprà affrontare le sfide che ha davanti a sé». Nel frattempo era cresciuta la richiesta di annullamento della parata, #no2giugno è rimasto per tutto il giorno l’hashtag più popolare di twitter Italia, identica mobilitazione su facebook e 40mila firme virtuali raccolte dal sito del Popolo viola. Niente da fare, secondo il capo dello stato che era in visita in Friuli, la festa della Repubblica sarà festeggiata «sobriamente» e dedicata «alla memoria delle vittime del terremoto in Emilia Romagna». A Napolitano, che per la Costituzione rappresenta l’unità della Repubblica e ha il comando delle forze armate, spettava moralmente l’ultima parola sul 2 giugno. A lui si erano rivolti anche le forze politiche dell’opposizione, dall’Idv a Sel alla Federazione della sinistra, più qualche sparuto rappresentante di secondo piano dei partiti di maggioranza, più il sindaco di Roma Alemanno che ieri mattina ha rimesso ogni decisione al presidente della Repubblica e ieri sera ha detto di sperare nell’annullamento. Pd e Pdl sono riusciti a non prendere posizione.
Per la sfilata lungo la via dei Fori Imperiali, la «sobria conferma di vitalità » annunciata da Napolitano, il ministero della difesa aveva già deciso di tagliare le spese, in ragione della crisi economica. Tagli che, in via preventiva, faranno risparmiare circa 1,5 milioni rispetto all’anno scorso: si economizza su tutto, dal personale (-47%) ai quadrupedi (-18%). Resta una spesa ottimisticamente prevista in tre milioni. Di questi, a quanto si può capire dai conti della Difesa, circa la metà sono destinati all’allestimento, e dunque sono stati già impegnati. Ma il resto è imputabile al trasporto e alla sistemazione delle truppe, oltre che al pagamento degli straordinari (le prove notturne); queste spese evidentemente si potevano ancora evitare.
Fu così nel 1976, quando la decisione del presidente della Repubblica Leone e del ministro della difesa Fanfani arrivò immediatamente dopo la prima grande scossa di terremoto in Friuli, quella devastante del 6 maggio. I reparti che erano attesi a Roma «in un momento così doloroso per la nazione», spiegò il governo il 10 maggio, furono deviati «per operare incessantemente nel soccorso alle popolazioni del Friuli e della Carnia duramente colpite». E sì che quello era un anniversario importante, il trentesimo della Repubblica. È vero, l’anticipo fu maggiore, mancavano infatti più di venti giorni alla cerimonia annullata e non quattro come sarebbe stato oggi. Ma anche allora molti preparativi erano già stati fatti: l’organizzazione 36 anni fa era più lenta. Soprattutto, complice l’Austerity, la sospensione del 1976 diventò uno stop definitivo e quello fu l’ultimo anno che sfilarono le armi in parata. Con la sola eccezione del 1984, per rivedere le truppe lungo i Fori Imperiali è stato necessario aspettare il centrosinistra al governo e Ciampi al Quirinale.
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