by Editore | 18 Maggio 2012 10:00
Con Erri De Luca avremmo potuto parlare di vendetta e di perdono, di ordini e di sconfitte, prendendo spunto dal suo ultimo romanzo, «Il torto del soldato» (Feltrinelli), in questi giorni in libreria. E invece con questo lucido testimone dell’ultimo mezzo secolo di storia, parliamo di «tortura clandestina».
Perché ha firmato l’appello per l’introduzione del reato nel codice penale?
La pratica della tortura e della brutalità è stata reintrodotta clandestinamente nel nostro Paese. C’è fin dai tempi delle leggi speciali, dei carceri e dei trattamenti speciali nei confronti degli incriminati per banda armata degli anni ’80. E oggi viene praticata di nuovo contro i detenuti o i trattenuti in stato di fermo. È una pratica accettata ma taciuta. Allora io dico che questo Paese deve uscire dalla sua ipocrisia: o ammette ufficialmente la tortura come sistema di trattamento speciale di detenuti e di sospetti, oppure introduce nel codice penali il reato, e lo scoraggia profondamente.
Parla di reintroduzione. Lei che ha vissuto suo malgrado da protagonista…
Ero un antagonista, i protagonisti non mi sono mai piaciuti.
Mi riferivo alle vicende giudiziarie che l’hanno portata a conoscere anche il carcere…
Ma io non ho mai subito trattamenti speciali.
Però ha vissuto gli anni delle squadrette speciali alla «de tormentis» costituite allo scopo di torturare i brigatisti e i detenuti politici. Cosa è cambiato da allora?
Gli strumenti di tortura e brutalità sono sempre stati usati per controllare la popolazione detenuta. Quello che è cambiato rispetto a quegli anni è il quadro internazionale: noi oggi partecipiamo a spedizioni all’estero a fianco di potenze militari che hanno introdotto ufficialmente la pratica della tortura. E l’hanno giustificata alla luce del sole come necessità di lotta al terrorismo. Penso a Guantanamo, Abu Ghraib e ai trattamenti speciali che l’amministrazione americana ha ufficialmente autorizzato con la firma del proprio presidente della Repubblica. Dunque loro fanno le cose “alla luce del sole2. E la reintroduzione della tortura, come pratica “necessaria”, è stata incrementata in questi anni. Allora, in questo quadro internazionale di ammissione della pratica, almeno che sia legale. Per questo ho firmato. Per dire: o dentro o fuori, o ufficializzate la tortura come legittima oppure la condannate. Ma la pratica clandestina della tortura va interrotta e scoraggiata.
Dai detenuti politici ai tossicodipendenti e agli immigrati. Una pratica che si è allargata sempre di più, non crede?
È aumentata la licenza di torturare. Prima era uno strumento più selezionato. Ma in questi anni abbiamo anche introdotto i Cie, campi di concentramento per rinchiudere i «colpevoli di viaggio», dove si pratica la tortura di massa, in condizioni di isolamento e senza la verifica di nessun organo di questo Paese. L’aumento dei suicidi e degli atti di lesionismo non sono altro che spie di questo trattamento speciale e disumano.
Cosa è stata secondo lei Genova, un ritorno al passato?
È stato un delirio di licenza (al massacro) e di arbitrio. Un evento novecentesco avvenuto un po’ fuori tempo massimo. Un delirio concentrato e perciò esploso sotto gli occhi del mondo intero perché tra quei malcapitati era presente una vasta rappresentanza di gioventù-mondo. Perciò è stato represso e non si è più verificato quel grado di abuso di massa da parte dell’autorità pubblica. I responsabili faticosamente sono stati identificati e perlomeno censurati. Certo, come sempre succede in questo nostro Paese i colpevoli fanno carriera. Ma la magistratura almeno in quel caso non ha coperto l’operato scellerato delle forze dell’ordine, anzi lo ha censurato e denunciato. Non si è accodata perché non faceva parte di quella catena di comando della repressione. In altre epoche la magistratura copriva completamente il trattamento speciale.
Dalla legge Reale del 1975 a oggi, come è cambiato l’uso della politica emergenziale in Italia?
Allora la politica era promotrice legale della crescita della repressione, ma almeno aveva il progetto di combattere la lotta armata. Dopo, invece, la politica ha cercato di ingigantire il pericolo, giocare sull’emergenza anche quando è del tutto inesistente. Lo stiamo vedendo in questi giorni: come se qualcuno sperasse di pubblicizzare certi episodi e incoraggiasse l’emulazione. La politica si è messa a ingigantire l’emergenza prima su scala solenne, a partire dall’attentato alle Torri gemelle, e poi su scala minuscola, come succede da noi. Ma se prima aveva un progetto, ora è diventata abbastanza ciarlatana. Se prima obbediva a una necessità , oggi cerca solo di perpetuare se stessa attraverso un clima artificiale. Su questo i partiti convergono tutti, perché vengono come giustificati da questo clima. Mentre invece è evidente che si possa lucrare e si possano formare maggioranze politiche su sentimenti opposti: sul coraggio, la fraternità , la solidarietà . È su questi sentimenti, a dispetto della grancassa della politica e dei suoi organi di stampa, che si muove e si regge questo Paese.
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