«La ragion di Stato non blocchi la verità »

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PALERMO – Pioveva così anche il giorno dei funerali di Giovanni Falcone, un’acqua torrenziale che sembrava non finire mai. Sono passati vent’anni e l’angoscia è la stessa di quel giorno, ma a Palermo il premier ha voluto portare un messaggio di speranza. Dal sangue del magistrato ucciso, di sua moglie Francesca e degli uomini della scorta, «è nato il riscatto dell’Italia». Mario Monti lo dice a Capaci, davanti alla stele che ricorda il cratere aperto dal tritolo della mafia il 23 maggio 1992. Dice che i «criminali mafiosi» hanno sì spezzato la vita di Falcone e della sua sposa «martire», ma non «hanno raggiunto il loro vero obiettivo, uccidere la capacità  di resistenza dell’Italia». 
Sulle responsabilità  della strage gravano ancora troppe ombre e Monti promette piena luce: «Non esiste nessuna ragion di Stato che possa giustificare ritardi nella ricerca della verità ». Nelle stesse ore, alla Camera dei deputati, Walter Veltroni punta il dito contro gli scranni e afferma che «per molti momenti della storia italiana i referenti politici della mafia sono stati seduti lì, ai banchi del governo della Repubblica». E Monti, da Palermo, chiede alla politica di «fare attenzione» quando sceglie i suoi rappresentanti: «Gli apparati dello Stato devono essere lontani da ogni sospetto di prossimità  ad organizzazioni mafiose». 
La mafie non sono imbattibili. Ma la lotta al crimine deve essere «senza quartiere», deve nascere nelle scuole e crescere nel Paese intero, tra cittadini che si uniscono contro il terrore e combattono insieme. Nessuno è immune, avverte il premier. Ma non si pensi di farcela limitando la battaglia «solo a Palermo per la mafia, alla Calabria per la ‘ndrangheta e alla Campania per la camorra».
Palermo è blindata, paralizzata. Alle 9.30 Monti arriva al Giardino di Ciaculli per inaugurare la lapide di marmo nero con i nomi di tutte le vittime di Cosa Nostra. Ci sono i parenti dei morti e ci sono i bambini, che cantano «un intero popolo che non paga il pizzo è libero» e indossano t-shirt con la foto di Falcone e Borsellino. Ne regalano una anche a lui e il premier la mostra ai fotografi per lo scatto di rito. «Questi ragazzi — dirà  al ministro Cancellieri sfatando la sua fama di uomo freddo e razionale – mi hanno commosso». 
Sono arrivati da tutta Italia in 2.500, su due Navi della Legalità . A bordo anche le amiche di Melissa Bassi, la sedicenne di Mesagne uccisa davanti alla sua scuola, a Brindisi. Sulla matrice del gesto Monti non si esprime, ma ai compagni della studentessa ricorda i tanti cittadini che non si sono fatti «spaventare dalla violenza e dal terrore». Alle 11 Monti e Napolitano entrano nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, accolti dall’applauso degli studenti. Claudio Baglioni canta «Noi no», il brano che nel ’92 divenne un simbolo. In prima fila ci sono i ministri Profumo, Cancellieri, Severino, il capo della polizia Manganelli e c’è Leoluca Orlando, al primo giorno di fascia tricolore ritrovata. 
All’ora di pranzo, a Villa Bordonaro, il sindaco fa gli onori di casa e abbraccia la sorella di Falcone, Maria. Pace fatta, dopo tante incomprensioni? «Per me quelle incomprensioni sono state un grande rammarico umano – racconta Orlando – Pensi che fui io, in una notte di tanti anni fa, a sposare in gran segreto nel mio ufficio al municipio Giovanni Falcone e Francesca Morvillo…».


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