by Sergio Segio | 6 Maggio 2012 8:30
Considerato uno dei maggiori filosofi e sociologi vicenti, ha fondato negli anni 50 la rivista «Arguments», ispirata a «Ragionamenti» di Franco Fortini. Nel 1967, con Roland Barthes e Georges Friedmann, fonda «Communications», di cui è tuttora direttore. Al centro del suo impegno, l’analisi della cultura di massa quale complesso di miti, simboli e immagini. È anche il teorico della «politica della civiltà », che deve ristabilire solidarietà e responsabilità .
Ho potuto assistere all’uscita di scena di Berlusconi. Ora non voglio perdermi quella di Sarkozy. Alla mia veneranda età , certi appuntamenti con la storia non vanno mancati». La Francia che sceglie il suo nuovo presidente: l’Unità ne discute con uno dei grandi pensatori della nostra epoca: Edgar Morin, filosofo, sociologo, direttore emerito di ricerca al Cnrs di Parigi. Teorico della complessità , nel suo ultimo libro, La via. Per l’avvenire dell’umanità (edito da Raffaello Cortina), Morin traccia i caratteri di un nuovo umanesimo planetario. «A Franà§ois Hollande dice Morin chiedo maggiore coraggio nel proporre idee all’altezza dei tempi. Tempi di crisi epocale a cui deve corrispondere un cambiamento epocale. Non serve volare basso. Cosi come non basta più parlare di “crescita”, come se fosse la parola magica per cambiare davvero passo».
In attesa del risultato finale, le chiedo una valutazione complessiva della campagna elettorale. Come la definirebbe?
«Una campagna appassionante ma non palpitante. Abbiamo assistito a una corsa tra “cavalli” diversi e con molte incertezze. Il deficit è nel pensiero politico che l’ha caratterizzata. Si è cercato di evitare il confronto sulle grandi questioni, a cominciare dalla crisi economica. Sarkozy ha provato a dimostrare l’impossibile: vale a dire la sua capacità a farne fronte». Lei è stato protagonista di un appassionante faccia a faccia su «Le Monde» con Franà§ois Hollande. Il filosofo e il politico, probabile nuovo inquilino dell’Eliseo, a confronto…
«Un confronto vero, tra due persone che su diverse questioni hanno approcci, sensibilità diverse ma che si ritrovano nella convinzione che “sinistra” significa ancora molto, in termini di progetto, di speranza, di idee e sentimenti. Non è poca cosa, mi creda».
Cosa chiede a Hollande, oggi candidato, domani forse presidente?
«Un politico per sua natura mira alla conquista del potere. La cosa non mi scandalizza, né m’indigna. La domanda è un’altra: il potere, va bene, ma per farne cosa? Il potere in politica dovrebbe essere strumento e non fine, anche se il più delle volte la realtà ha dimostrato il contrario. Quanto a Hollande, se sarà lui, come penso e mi auguro, il nuovo presidente, spero che abbia l’ambizione, oltre che la volontà , di un progetto di lungo respiro che rafforzi e aggiorni le idee di una sinistra che non intende subire il dominio del mercato né sia subalterna ad una vecchia logica di sviluppo. A Hollande chiedo più coraggio nell’innovazione, quel coraggio che a un certo punto venne meno a Mitterrand».
Una richiesta all’altezza dei tempi…
«Direi all’altezza di una crisi che è molto di più che crisi finanziaria o economica: è una crisi di civiltà . E se così è, il cambiamento ha senso se assume un carattere epocale. È con questo scenario che Hollande sarà chiamato a cimentarsi.
Un passo indietro: lei ha affermato che Hollande debba trarre una lezione dalla parabola del mitterrandismo: da Mitterrand oltre Mitterrand, dunque?
«Il Mitterrand del 1981, quello del primo socialista all’Eliseo nella Francia della Quinta Repubblica, è un leader animato da grandi ambizioni di cambiamento. E, in una prima fase della sua presidenza, si è mosso su questa strada, con coerenza e anche importanti risultati: penso all’abolizione della pena di morte, e altre riforme sul piano sociale. Ma poi si è fermato sulla soglia della sfida decisiva: quella di non consegnare la società francese al neoliberismo, creando un argine al dominio del capitalismo finanziario. Il mitterrandismo è stato un fenomeno complesso, spero che Hollande ne sappia cogliere gli aspetti positivi senza ricadere negli stessi errori».
In polemica con l’iper austerità di “Merkozy”, Hollande ha battuto con forza sul tasto della crescita.
«Quel tasto va aggiornato, arricchito, se non si vuole restare prigionieri di un vecchio e improponibile spartito. Va ripensata l’idea stessa di crescita come quella di progresso. Non possiamo considerare il progresso come il carro trainato da una locomotiva tecno-economica. Così come non possiamo concepire la crescita come mera dimensione quantitativa, come ampliamento, magari con un riequilibrio distributivo, di un modello di consumo che si intende come immodificabile. Ecco, a Hollande chiedo di non restare prigioniero di questa idea di crescita, ma di portare più avanti la frontiera del “progressismo”. Credo davvero che sia giunto il tempo di rompere con il mito della crescita perpetua, ma soprattutto dobbiamo andare oltre la sterile alternativa di crescita / declino e promuovere la crescita parola che non va cancellata dal vocabolario progressista, ma coniugata diversamente. E contemporaneamente ridurre i prodotti economici futili, gli effetti illusori, moltiplicati dalla pubblicità , quanto meno per frenare l’economia “usa e getta”. È questo ciò che intendo per un cambiamento epocale, che investe il pensiero oltre che le merci».
Nel programma di Hollande vi sono misure volte a ridurre il dominio della finanza…
«È un inizio, un buon inizio, ma non può essere il punto d’approdo. Una nuova politica economica, a mio avviso, dovrebbe includere la rimozione della onnipotenza della finanza speculativa, salvaguardando nel contempo la competitività del mercato, superando l’alternativa di crescita / declino, determinando ciò che deve crescere: un’economia plurale, compreso lo sviluppo di una green economy, l’economia sociale, commercio equo e solidale, cittadinanza d’impresa. Ma al tempo stesso, occorre indicare, in una ottica gramsciana, ciò che si deve abbattere per poter ricostruire: l’economia che crea bisogni artificiali, l’economia dell’usa e getta. Più che di sviluppo sostenibile, parlerei di consumi insostenibili, nocivi, da eliminare tout court».
Sin qui la riflessione si è accentrata sulla crisi e i suoi caratteri. Ma per restare alla Francia: cosa si sente di chiedere d’altro a Franà§ois Hollande se sarà il presidente?
«Di rimettere mano alla Costituzione sancendo in essa che la Francia è multiculturale. Anche qui: occorre qualcosa di più impegnativo della riaffermazione della laicità dello Stato. Dobbiamo andare oltre la cultura della solidarietà e della tolleranza, concetti questi che peraltro Sarkozy ha calpestato, infangandoli, ben prima della sua rincorsa ai voti di Marine Le Pen e di una destra che cavalca l’insicurezza sociale alimentando una vergognosa caccia all’”Untore del terzo Millennio”: l’immigrato extracomunitario. Affermare che la Francia è una, indivisibile e multiculturale significa riconoscere una realtà già in essere, e definire un insieme di diritti e di doveri, in una idea avanzata di cittadinanza: dove l’unità della Nazione, intesa come comunità , chiede a tutti di riconoscersi in essa, al di là delle proprie origini di provenienza, e al tempo stesso riconosce la feconda diversità delle culture che si integrano».
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