Le urne agitano Eurolandia Merkel:”Il rigore non si tocca”

by Editore | 8 Maggio 2012 6:49

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ROMA – Gli auguri di rito, l’invito a Berlino dove Hollande sarà  «accolto a braccia aperte». Angela Merkel non ha nessun dubbio sul fatto che Francia e Germania riprenderanno «intensamente e bene l’essenziale lavoro» sull’Europa. Ma all’indomani dell’elezione del socialista all’Eliseo mette i suoi paletti: «Non si rinegozierà  il Fiscal compact», il trattato sul rigore che la stessa Cancelliera ha voluto per mettere la camicia di forza ai paesi indebitati. «Non si può cambiare linea ad ogni elezione, se si rivedesse il patto anche la Grecia vorrebbe un nuovo accordo». Ecco i due fronti caldi, Parigi e Atene. Se la vittoria del Ps francese ora spaventa meno – Hollande è rientrato nei ranghi e anzi può aiutare Roma e Bruxelles sulla crescita – a terrorizzare le capitali è il caos greco. 
Cosa si rischia lo dice Klaus Regling, numero uno del fondo salva-Stati Ue: «L’uscita dall’euro della Grecia sarebbe una catastrofe per Atene e avrebbe conseguenze drammatiche» per gli altri partner della moneta unica. Ma in questa fase di confusione nessuno molla di un centimetro sugli impegni, lacrime e sangue, imposti ai greci in cambio degli oltre 200 miliardi di aiuti internazionali. Lo dice la Merkel: «È fondamentale che Atene continui con il piano di riforme già  concordato». Le fa eco la Commissione europea. 
Sul versante crescita invece qualcosa si muove. Dopo l’elezione di Hollande in Europa è stato tutto un telefonarsi tra leader per commentare e posizionarsi. La linea di Monti e della Merkel è quella che il rigore non si tocca. Ma ora va accompagnato dalla crescita. La differenza è che al momento l’Italia è l’unico Paese che ha sul tavolo un piano strutturato per il rilancio. Hollande porterà  il suo. Sarà  meno dirompente rispetto alle sparate elettorali, anche se ieri ha rilanciato: «Berlino non può chiudere sia agli Eurobond che al rifinanziamento del debito da parte della Bce». Una posizione condivisa da Monti che in queste ore – dopo l’avanzata degli estremisti in Francia, Grecia e Olanda – inizia a riflettere sulla necessità  di sdoppiare: per rispondere alla recessione mercato interno, liberalizzazioni Ue e sconti sulle spese pubbliche produttive da incassare al summit di fine giugno. Dopo, per reagire alla pericolosa crisi sociale in corso, riflette su una revisione dei trattati Ue per dare anima politica all’Unione. Il che implica Eurobond e Bce forte. Da Berlino dietro le quinte arrivano messaggi incoraggianti, anche se parlare di accordo fatto è imprudente. Pubblicamente qualche passo avanti i tedeschi lo fanno: il ministro delle Finanze Schaeuble si esprime per un aumento degli stipendi in Germania, una delle ricette chieste da mesi dal resto del mondo per rilanciare la domanda e aiutare i paesi in crisi. 
Intanto le capitali sono sconcertate dall’apatia con la quale la Commissione nasconde la preoccupazione per l’avanzata degli estremisti anti-europei senza prendere decisioni. Aspetta Hollande e Monti, spera che scardinino i “nein” della Merkel, ma di iniziativa politica da parte di Barroso anche questa volta nemmeno l’ombra (i tempi di Delors sono lontani). Lo conferma un esasperato Antonio Tajani, vicepresidente dell’esecutivo Ue: «Se non diamo risposte sulla crescita l’Europa verrà  travolta» da populisti e radicali. Ragion per cui Monti in questi giorni pressa per fissare un summit straordinario tra leader in modo da lanciare subito il dibattito sulla crescita in vista del decisivo vertice del 28 giugno. Ma la speranza di tenerlo entro il 18 maggio, data del G8, sembra naufragare di fronte a problemi di agenda. La riunione dovrebbe dunque arrivare verso fine mese. 
Intanto Roma resta in prima fila: Monti e il ministro Moavero dietro le quinte sono veri facilitatori del negoziato europeo. Moavero ieri ha incontrato i commissari Ue Rehn e Barnier. Oggi Monti avrà  una bilaterale con lo stesso Rehn a margine di un convegno a Roma e domani vedrà  Barroso a Firenze. Monti e Moavero tengono rapporti quotidiani con Bruxelles, Berlino, Parigi, Londra e Madrid cercando di far prendere decisioni sulla crescita. Però con scelte a 27, senza spaccature in stile Fiscal Compact (non firmato da inglesi e cechi).

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