Le nuove Br invocano le armi

by Editore | 16 Maggio 2012 9:01

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MILANO — Ma perché non ci fila nessuno in quella «classe operaia che non sta reagendo a un livello consono all’attacco» della crisi economica, e invece tutti discutono dei movimenti come No Tav e Occupy Wall Street? Altro che rivendicare il ferimento del manager dell’Ansaldo, Roberto Adinolfi: nell’aula dove a Milano dopo un annullamento in Cassazione ricomincia l’Appello a 11 membri delle nuove Brigate rosse-Partito comunista politico militare, i quasi tutti ultra 50enni imputati di banda armata con finalità  di terrorismo non fanno alcun richiamo all’agguato genovese, sinora salutato solo dal volantino degli anarchici della Fai ispiratisi ai «compagni» greci. Anzi, in due documenti scritti a mano in carcere e letti prima che la Corte sospenda l’udienza, il tandem Davanzo-Sisi e il trio Bortolato-Latino-Toschi lamentano che proprio anche «in Grecia» la «presenza politico-militare comunista» perde colpi e «si vive ormai una fase di crisi gravissima dove la lotta armata è condotta da gruppi anarchici o, nel migliore dei casi, da “anarco-comunisti”» sempre esposti a derive «spontaneiste-nichiliste che non possono portare da nessuna parte». Però chi sta in carcere (dal 2007) è «colpito dalla capacità  di queste aree di inserirsi nei movimenti attuali e diventare fermenti attivi come qui è avvenuto ad esempio rispetto a No Tav. Può darsi che abbiamo qualcosa da imparare anche da loro?».
Sul ferimento di Adinolfi sono solo le sollecitazioni giornalistiche a spremere al massimo da Davanzo prima un «non parlo coi giornali borghesi» e solo dopo, ma senza più nesso diretto con la domanda, lo slogan: «Questo è il momento buono, viva la rivoluzione». La coreografia, per il resto, è quella consueta in questo genere di dibattimenti. Dove, se mai, il dato più interessante è che i messaggi degli attempati imputati sono acclamati (fino allo sgombero ordinato dalla Corte) da un centinaio di supporters nel pubblico: tante ragazze e molti giovanissimi, anche in trasferta dal centro sociale Gramigna di Padova, curiosamente combattuti tra il posare per i fotografi — componendo la parola «solidarietà » con le singole lettere delle magliette indossate sotto gli altri vestiti — e l’inveire a quegli stessi fotografi che li ritraevano. Del resto, tre quarti dei documenti letti contengono argomenti ascoltabili (con sfumature diverse) in un bar come in un centro sociale o in una università : i br esultano per «il salto di qualità » di slogan di Occupy Wall Street, tipo «siamo il 99% contro l’1%» o «non pagare i debiti/espropriare le banche»; addebitano «i 1.700 suicidi di Atene e le decine nel nostro Paese» alla «disperazione delle masse»; criticano la riforma del lavoro «della ministra Fornero» ma «senza stare qui a riassumerla», «le ricette di Marchionne», il «governo di tecnocrati di Monti esponente di Goldman Sachs».
Ciò che come sempre fa però la differenza è l’esaltazione della «lotta armata» come «modo preciso e incisivo di intervenire nel vivo della crisi», con la formula «non amiamo la violenza ma consideriamo sia inevitabile e storicamente necessaria» perché «solo con le armi si sovvertono i poteri».
E infine, dalla notte dei tempi delle Br vere e proprie — quelle che nel 1977 a Torino uccisero l’avvocato Fulvio Croce proprio perché, accettando la difesa d’ufficio dei br, consentiva la celebrazione del processo al nucleo storico — rispunta un arnese dismesso: Davanzo e Sisi revocano i difensori di fiducia e rinunciano agli avvocati d’ufficio previsti dalla «giustizia borghese». Scelta che blocca il processo per 7 giorni di termini concessi ai nuovi legali.

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