«Criminali di guerra i killer di Hula»

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Come è possibile chiudere gli occhi di fronte a quei corpi martoriate di bambini. Come è possibile non provare sdegno, rabbia, dolore di fronte a stragi come quella consumata a Hula? La real politik non può calpestare i sentimenti, non può violentare il diritto-dovere all’indignazione che deve riguardare l’opinione pubblica come coloro che esercitano il potere. Chi si è reso responsabile di questo massacro come dei tanti che hanno segnato la Siria, deve essere considerato un criminale di guerra e come tale trattato». A parlare così è una donna coraggiosa, impegnata in prima fila in battaglie di civiltà , come quella per la messa al bando delle mine anti-uomo: Jody Williams, premio Nobel per la pace 1997, presidente del Nobel Women’s Iniziative. La Nobel americana è stata tra le 50 personalità  internazionali firmatarie di un appello in cui definiscono la brutale repressione ordinata dal presidente siriano Bashar al-Assad contro il suo popolo come «il peggior caso possibile di violenza deliberata contro la popolazione civile cui abbiamo assistito negli ultimi anni» e parlano di «dovere morale» del mondo di trovare una via d’uscita, perché «ne va anche dell’immagine internazionale delle Nazioni Unite e di ogni nazione che resta indifferente a guardare davanti a una tragedia».
Il mondo è inorridito di fronte alla strage di Hula, in cui sono stati uccisi 32 bambini.
«L’indignazione non basta. Essa deve essere la leva per agire affinché sia posta fine a questi crimini e giudicati autori e mandanti. Non esistono giustificazioni di fronte a uno scempio di vite umane come quello perpetrato a Hula. L’indignazione non può durare un giorno, e poi finire nel dimenticatoio. Perché quella di Hula non è la prima strage di civili in Siria: esistono rapporti documentati delle Nazioni Unite, delle più accreditate associazioni per i diritti umani, che danno conto di bombardamenti contro popolazioni civili in diverse città  siriane, dell’uso sistematico della tortura contro civili, in molti casi donne e bambini. Per questo occorre dare forza e voce a quanto ribadito recentemente dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani: in Siria sono stati commessi crimini contro l’umanità  e i responsabili devono renderne conto».
Con quali strumenti agire per porre fine a questa mattanza? C’è chi invoca una ingerenza umanitaria armata.
«La forza del regime siriano è innanzitutto nella divisione della comunità  internazionale. Penso agli scontri nel Consiglio di Sicurezza anche solo per convergere su una risoluzione di condanna. Assad deve sentire su di sé una pressione totale, condivisa. Altrimenti, penserà  sempre di poter avere una chance per continuare a governare con la forza più brutale».
Lei è stata una delle firmatarie dell’appello di 50 personalità  internazionali rivolto ai leader mondiali. Cosa chiedete eachi?
«La nostra richiesta è rivolta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: togliete ad Assad la licenza di uccidere. La divisione della comunità  internazionale ha finora garantito l’impunità  al governo di Bashar al-Assad. È tempo che questa licenza di uccidere sia revocata. Un appello che è rivolto soprattutto a quei Paesi, Russia e Cina,
che continuano a sostenere o comunque a fare scudo al regime di Bashar al-Assad».
Lei ha sostenuto gli sforzi dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Ma il piano Annan sembra destinato al fallimento.
«Sarebbe una sciagura, un danno irreparabile. Il fallimento di Kofi Annan sarebbe il fallimento dell’intera Comunità  internazionale e aprirebbe la strada a una nuova, devastante escalation di guerra che dalla Siria potrebbe estendersi all’intero Medio Oriente. Annan non va lasciato solo. Occorre far tacere le armi, esigere il ritiro dell’esercito dai centri abitati, predisponendo un meccanismo di controllo sul territorio che per essere efficace non può essere affidato solo a un centinaio di osservatori Onu. Non sta a me indicare gli strumenti per raggiungere questo obiettivo, ma nel vicino Libano le Nazioni Unite hanno schierato caschi blu (la missione Unifil nel Sud Libano ndr) per garantire sicurezza e stabilità . Di certo, la situazione in Siria non è meno grave».
L’opposizione siriana chiede un sostegno militare.
«Non credo che esista una via militare alla democrazia. Chi ha pensato di poterla imporre dall’esterno, ha determinato solo nuove sciagure, come è accaduto in Iraq con la guerra voluta da George W. Bush. Continuo a ritenere che esistano altri strumenti di pressione che per essere esercitati con efficacia hanno bisogno di una piena condivisione internazionale. È questa volontà  politica che continua a essere monca. E di questo traggono vantaggio solo i signori della guerra. Una cosa è certa: non bastano gli appelli per fermare le armi. Non è con le parole che si renderà  giustizia ai bambini di Hula».


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