«Common Ground» l’architettura secondo Chipperfield
Dirige l’archistar inglese David Chipperfield che ha all’attivo progetti come l’edificio d’ingresso all’Isola dei Musei a Berlino, una nuova ala del Saint Louis Art Museum negli Stati Uniti, la Ansaldo – Città delle Culture a Milano e l’ampliamento della Kunsthaus di Zurigo in Svizzera. Con cinquantacinque partecipazioni nazionali e cinque new entry (Angola, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Perù e Turchia, la Biennale di quest’anno sceglie come fil rouge due parole legate strettamente insieme: Common Ground è il «marchio» con cui si avventura in una zona a rischio che coniuga architettura e società . Laconico nella sua presentazione, Chipperfield dice di voler «riaffermare l’esistenza di una cultura architettonica costituita non soltanto da singoli talenti, ma anche da un ricco patrimonio di idee differenti riunite in una storia collettiva». La sua Mostra vedrà la realizzazione di cinquantotto progetti che misceleranno le competenze di architetti naturalmente, senza dimenticare però quelle degli artisti, fotografi e studiosi del settore. E chiama in campo gli studenti universitari.
Alla fine, saranno centotré i protagonisti dell’itinerario veneziano, con molti nomi noti – da Renzo Piano a Zaha Hadid passando per Peter Eisenman, Norman Foster, Rem Koolhaas, Alvaro Siza, Kazuyo Seijma, l’italiano Cino Zucchi – e un’attenzione alle «aspirazioni» che propongono una identità collettiva. «Il terreno comune (in contrapposizione allo spazio pubblico) implica un territorio condiviso all’interno di un contesto di differenze. L’architettura richiede collaborazione. Coinvolge forze commerciali e visione sociale, deve fare i conti con le richieste delle istituzioni e delle grandi aziende, e con i bisogni e desideri degli individui», scrive Chipperfield. Per lui, «l’architettura è sempre stata un atto di resistenza, resistenza agli elementi e alle spinte del caos. Dà rifugio e può creare un mondo all’interno di un altro mondo».
Non è stato un progetto semplice, ma secondo Chipperfield il compito della Biennale è porre questioni, non risolvere problemi. «Il titolo è piaciuto moltissimo a tutti, poi in tanti mi hanno chiamato per dirmi che non sapevano cosa fare», ha aggiunto il curatore di Common Ground. Per esempio, Zaha Hadid ha scelto di far vedere le sue opere che dimostrano l’influenza che hanno avuto su di lei gli ingegneri, per ribadire la necessità di un’attiva collaborazione e di uno sconfinamento sempre proficuo. Sconosciuto, invece per ora, il nome del curatore del padiglione italiano.
Il presidente della Biennale, Paolo Baratta, ha poi rilevato la «grave discrasia» che viviamo in Italia rispetto all’architettura: «Abbiamo la più importante mostra internazionale, ma non sappiamo esprimere una domanda di qualità così come avviene con il buon mangiare, il bel vestire, l’arredamento, il design». Quindi, torna ad aleggiare la crisi che ha investito anche l’organizzazione. I costi della mostra non sono stati adeguati all’inflazione. Stesso budget degli anni passati, 6,8 milioni, per il 60% assicurati dalle entrate della Biennale. Non si tratta solo di finanziamento, «è una crisi politico istituzionale più vasta», spiega ancora Baratta, da cui si esce solo con «una volontà corale di riacchiappare il proprio destino». Da parte sua, la Biennale Architettura punta ai duecentomila visitatori, contro i centosettantamila dell’anno scorso.
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