L’arte (perduta?) della recensione

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È interessante allora notare come al grado zero – quando cioè non è ancora condizionata dal clic sull’immagine di questo o quell’oggetto – la home page italiana della «più grande libreria online del mondo» metta i libri in mezzo a una foresta di videogiochi, di orologi e di borsette. Segno che Jeff Bezos e i suoi si sono accorti che per sfondare nel nostro paese è meglio non puntare sulla passione per la lettura. Eppure quelli di Amazon.it a (vendere) i libri ci tengono, se è vera la voce – impalpabile, forse inattendibile, come tante voci – secondo cui la società  di Seattle starebbe cercando recensori italiani per dare brio a quei «consigli dei lettori», così importanti per un efficace passaparola. Immaginando file di aspiranti critici più o meno improvvisati in coda lungo le strade virtuali del web, vien voglia di scrollare le spalle pensando che in fondo questa è solo una forma appena aggiornata di pubblicità . Ma una ricerca condotta fra il 2004 e il 2007 da Michael Luca della Harvard Business School e da poco pubblicata sotto il titolo What Makes a Critic Tick (si può leggere online a questo indirizzo: www.hbs.edu/research/pdf/12080.pdf) avverte che, sebbene le «recensioni» di Amazon non diano «sicurezza qualitativa», non si può non rilevare una sostanziale convergenza tra i pareri degli esperti e quelli dei consumatori. Qualche differenza però c’è, e la sottolinea sul «Guardian» Paul Laity, responsabile delle pagine culturali del quotidiano inglese per la saggistica. Interpellato dalla collega Alison Flood, il giornalista spiega che «scrivere una recensione al tempo stesso agguerrita e vivace richiede un talento non comune», tanto che «autori con diversi libri pubblicati nel loro curriculum si rivelano recensori deludenti». Insomma, conclude l’orgoglioso Laity, «sono in pochi a saper fare quello che noi ci prefiggiamo, ed è per questo che le pagine culturali del “Guardian” sono ben diverse dai consigli messi in rete da Amazon». Impossibile, mettendo a confronto le une e gli altri, non dargli ragione. Resta tuttavia il dubbio che in un mondo dove i lettori sono visti, per prima cosa, come consumatori, il bravo recensore, «esigente e stylish », come piace a Laity (e non solo a lui), stia diventando una specie in via di estinzione.


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