L’arte di occupare un grattacielo non dispiace a Boeri

by Editore | 6 Maggio 2012 14:48

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Di fronte svetta «il nuovo» che avanza – lo scempio, oppure un gioiello, è questione di punti di vista: il palazzo di Formigoni, di fianco la pancia di un grattacielo a spirale che punta ancora più in alto (160 m.) e nemmeno troppo all’orizzonte – guarda che combinazione – «il bosco verticale» progettato dall’architetto Stefano Boeri, l’assessore alla cultura del comune di Milano. Da quassù tira aria di immaginario metropolitano che sta precipitando nel futuro, tutto sta a ridisegnarlo ad immagine e somiglianza di chi la città  sempre la subisce senza avere mai la possibilità  di costruirsela al di fuori di logiche speculative. Questa è la scommessa delle ragazze e dei ragazzi di Macao , metterci le mani (e anche la faccia) per trasformare la retorica piena di insidie dei beni comuni in «pratiche reali». C’è qualcosa di più folle dell’occupazione di un grattacielo? No, eppure, dopo un anno di Pisapia, veniva quasi spontaneo chiedersi come mai nessuno aveva ancora osato tanto. Adesso bisogna continuare a ragionare, confrontarsi, discutere, magari anche litigare e prendere la cazzuola. Il grattacielo è malconcio. Ma gli spazi, per ora due piani, sono enormi. Luminosi. Pieni di persone che già  fanno e disfano confrontandosi anche solo per darsi il «cinque». Sì, è una figata. Intanto, chi sono. Una parola non basta, in rozza sintesi: sono il Teatro Valle di casa nostra. Ma è poco. E nemmeno «giovani» funziona più. Loro dicono che Macao diventerà  «il nuovo centro per le arti e la ricerca di Milano», da restituire ai cittadini. Cultura, roba che non si mangia e soprattutto non dà  da mangiare – ecco allora spunta la richiesta di un welfare che garantisca il futuro anche dei lavoratori delle arti applicate o anche solo sognate. Ma loro chi? Sono artisti (definizione piuttosto scivolosa), curatori, critici, guardia sala, grafici, performer, attori, danzatori, musicisti, scrittori, giornalisti, insegnanti d’arte, ricercatori, studenti, insomma la parte più vivace sfruttata e precaria di questa città  che è pur sempre la capitale del terziario avanzato. Ribelli, almeno nelle intenzioni: «Siamo il cuore pulsante dell’economia del futuro, e non intendiamo continuare ad assecondare meccanismi di mancata redistribuzione e di sfruttamento». E questo proposito, tra un suicidio e l’altro, basterebbe come premessa per progettare la rivoluzione. Da dove cominciare è la questione più controversa, e di questo sono chiamati a ragionare artisti, intellettuali (speriamo anche no), esperti del diritto (speriamo anche di storia o genetica) e attivisti vari. Insomma, cittadini. Ma se lo tengono il grattacielo? Una volta si sarebbe detto: ma quando li sgomberano? L’assessore Stefano Boeri ha l’aria di essere troppo intelligente per non saper gestire una situazione di questo genere, forse è un’occasione da non sprecare, anche per lui e per Milano. Ha detto questo: «Siccome rappresento una istituzione, non posso condividere il metodo dell’occupazione, ma…». E in quel ma, c’è qualcosa che da queste parti non siamo ancora abituati a sentire: «Le questioni che sollevano gli occupanti sono importanti, a Milano esiste il problema dei troppi spazi inutilizzati per imprese di tipo creativo. Mi auguro che questa esperienza venga formalizzata attraverso forme legali di riutilizzo temporaneo degli spazi, come già  accade in città  come Berlino. Con un gruppo del Politecnico stiamo lavorando in questa direzione». Come toccare il grattacielo con un dito (poi tocchiamo ferro).

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