L’altro G8 in Medio Oriente
“Otto donne leader nelle rispettive comunità – ha detto in apertural’assessore alla convivenza della Provincia Autonoma di Trento Lia Beltrami – che hanno iniziato un percorso comune. Per alcune, parlare o mangiare assieme a donne appartenenti ad altre comunità o ad altre fedi è stato possibile per la prima volta solo in quest’occasione.
Provengono da patrie spesso contese, lacerate da violenze e s’impegnano in favore della risoluzione pacifica dei conflitti e della convivenza, utilizzando strumenti diversi: l’educazione, lo studio, le attività di volontariato, l’animazione all’interno delle comunità di appartenenza ma anche uscendo da esse, confrontandosi con “l’altro”. Per tutte loro, l’appoggio che arriva dall’Italia è fondamentale.
“Ogni cammino nasce con un piccolo passo – ha detto la coordinatrice del gruppo Hedva Goldschmidt – e noi questo passo lo abbiamo fatto due anni fa a Trento, quando ci siamo incontrate per la prima volta. Da quell’esperienza sono nati progetti importanti per il dialogo fra ebrei e arabi, anche se spesso abbiamo idee differenti.”
Bashima Halabi, di origine drusa, ha presentato alcuni aspetti della sua religione, originatasi in Egitto circa 1000 anni fa, separandosi dall’Islam, e basata tra l’altro sull’idea della reincarnazione. I drusi nel mondo in tutto sono circa un milione e mezzo, di cui centomila in Israele. “Io lavoro alla realizzazione di progetti di informazione, sono anche insegnante di scuola superiore e guida di musei – ha spiegato – e ora mi sto dedicando alla realizzazione di un museo della cultura drusa nel monte Carmelo, rivolto soprattutto ai bambini, affinché non smarriscano la memoria. Ho iniziato ad occuparmi dei temi della pace dopo avere conosciuto una bambina figlia di una vittima del terrorismo. Abbiamo iniziato costituendo gruppi di bambini ebrei e arabi, che chiamiamo ‘i custodi del museo’. Loro presentano le loro culture, noi la nostra. Vogliamo semplicemente rompere il ghiaccio e fare un lavoro comune.”
Syhal Ibrahimmar, beduina di religione islamica, nata vicino a Nazareth, è stata la prima della sua famiglia a poter studiare, nell’università ebraica di Gerusalemme. “Volevo stare a contatto con la gente, così ho scelto la strada dell’insegnamento. Quando c’è stata la seconda Intifada ho iniziato a lavorare in un programma pedagogico arabo-ebreo, basato sulle storie comuni della Bibbia, rivolto inizialmente ai bambini e poi allargato agli insegnanti. Quindi a Ber Sheva in Israele, ho creato la prima scuola arabo-ebraica, perfettamente bilingue. Ho acquisito esperienza e fiducia e ora coordino un’iniziativa che interessa tutte le scuole ebraiche del sud del Paese.”
Hadina Barshalom, direttrice dell’Università ultraortodossa di Gerusalemme, ha esordito con una citazione dal Libro di Isaia, contenente un invito al dialogo fra i diversi popoli. “Tutti noi in verità cerchiamo una via per il dialogo – ha proseguito – e dobbiamo assolutamente dare fiducia l’uno all’altro perché è su questo che si basa il futuro delle nuove generazioni. Dio ha anche dato alla donna una capacità di comprensione in più, ed è grazie a questo che il popolo di Israele si è liberato dal giogo dell’Egitto. Io faccio parte di un comitato governativo che si adopera per avvicinare arabi israeliani ed ebrei ma anche religiosi e laici. Due anni fa sono stata invitata a Trento, ho incontrato gente calorosa e che ama gli uomini, che sa guidare, è coraggiosa e accogliente. Il cammino che abbiamo iniziato allora come donne per la pace è importantissimo, ed è una esperienza che continua.”
“La vita dei cristiani in Terra Santa è piuttosto difficile – ha detto Nuha Farran – per molti fattori. Io sono araba, e molti in Israele sono sorpresi di vedere donne arabe come me che non portano velo o altri segni di arabicità . Veniamo visti con diffidenza sia dagli arabi che dagli ebrei. Forse perché più laici, più vicini alla cultura europea, forse perché stiamo un po’ ‘in mezzo’ fra le due comunità . Per noi è difficile anche scegliere dove mandare a scuola i nostri figli. L’emigrazione è una delle minacce fondamentali alla presenza dei cristiani in Medio Oriente. Forse in futuro rimarranno solo i sorveglianti dei luoghi santi. Ma io non voglio lasciare la mia terra.”
Faten Elzinaty ha a sua volta sottolineato le difficoltà delle donne mediorientali, specie laddove più forte è la pressione esercitata dai conflitti. “In questi due anni siamo cambiate, e lo sentiamo oggi, qui a Trento, per la forza, la verità e il coraggio che percepiamo. Sono orgogliosa di essere parte di questo gruppo. La nostra forza sta nella capacità di riconoscere l’altro pur essendo a volte in disaccordo. Il vero dialogo è questo, è confrontarsi con chi non è esattamente uguale a te. Io musulmana ho tre bambine, una delle tre studia nella scuola ebraica, e questa è la cosa più difficile che ho fatto nella mia vita. Io voglio che lei mantenga la sua identità ma possa anche sentirsi cittadina del paese in cui vive.”
Tehilabilha Barshalom, ebrea religiosa, per la prima volta a Trento, lavora nella città di Lod in collaborazione con Faten. “Non avevo mai conosciuto un arabo, li vedevo tutti i giorni ma non li conoscevo, perché sono cresciuta in una realtà chiusa. Sono andata a Lod per rafforzare la presenza ebraica in quel comune. Nel mio lavoro ho dovuto interagire con le varie componenti di quella comunità ma era ancora una conoscenza superficiale. Poi ho incontrato Faten, che mi ha proposto di fare un’attività comune per tutti i residenti. Così, piano, piano, ho cominciato ad aprirmi alla società araba. Non è sempre facile, a volte ci sono conflitti, anche conflitti di interesse. Ma non ci perdiamo d’animo.”
Dganit Fachima, ebrea ortodossa, madre di 8 figli, membro della scuola per la risoluzione del conflitti sostenuta dal gruppo delle donne per la pace e dall’assessorato alla solidarietà internazionale della Provincia di Trento, ha detto di essere arrivata con molti sospetti ma di avere guadagnato moltissime amiche. “Ero un po’ nervosa perché partecipavo per la prima volta a questa esperienza, ma ho capito che qui avrei avuto l’opportunità di fare qualcosa per il cambiamento. La cultura ebraica dà un ruolo importante alla donna, le Scritture sono piene di figure di donne eroiche. E nessuno lotta per la pace quando le donne. Ma se non comunichiamo fra noi, se non prepariamo uno spazio per dialogare, non potremo mai non solo costruire la pace ma neanche avere una vita normale.”
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