L’allarme del Tesoro sul debito: bilanci regionali fuori controllo

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ROMA — C’era un tempo in cui sembrava convenisse a tutti: «Agli imprenditori, che nel subire i ritardi cronici nei pagamenti riscuotevano alti interessi di mora e per finanziarsi preferivano rivolgersi alle banche, a tassi molto bassi. E allo Stato, che evitava di contabilizzare disavanzo ulteriore». 
Nelle stanze del governo, a Palazzo Chigi, chi racconta introduce così il discorso. Che oggi però ha un titolo diverso e insieme amaro, schietto e certamente allarmante: si chiama, senza giri di parole, «poca trasparenza dei conti pubblici». Qualcosa che nell’immaginario evoca scenari economici ben più drammatici di quelli che sta vivendo il Paese e che alla vigilia dell’introduzione del Fiscal compact, e nella prosecuzione dell’opera di «risanamento del sistema della finanza pubblica italiana», per usare le parole del ministro Giarda, non è più possibile tollerare.
Il quadro della situazione finanziaria che nell’esecutivo si fa in queste ore è grave. Si moltiplicano fatti di cronaca frutto della disperazione provocata da stretta creditizia, recessione e ritardi cronici nei pagamenti della pubblica amministrazione, ma non si vede l’uscita dal tunnel: «Il livello di sofferenza del sistema privato è purtroppo destinato a peggiorare», e per di più si hanno poche certezze su cosa attenda il Paese per raggiungere il pareggio di bilancio del prossimo anno.
Sul versante contabile una parte cospicua dell’allarme deriva proprio dal capitolo dei pagamenti arretrati delle pubbliche amministrazioni. Monti ne discute con la Merkel, vorrebbe arrivare a un patto europeo, in modo da far emergere un debito sommerso (statale e periferico) la cui entità , con precisione, persino alla Ragioneria dello Stato, nessuno conosce con esattezza. 
Ma il problema non è solo quello di ottenere un favor concordato a Bruxelles, che coinvolga gli altri Paesi e magari con l’emissione di titoli pubblici al posto del pagamenti, «il problema è anche la stima dei debiti degli enti locali e dei debiti sanitari delle Regioni verso le imprese, che varia da 30 a 70 miliardi di euro!». Un vero e proprio buco nero.
Anni di mancata contabilizzazione di questo tipo di spesa pubblica in conto capitale hanno prodotto quello che al Tesoro descrivono come «un doppio sistema perverso», che a sua volta ingloba «una bolla»: per dare una boccata di ossigeno alle imprese, per ottemperare alla nuova direttiva europea sui tempi di pagamenti, per fare chiarezza nei conti una volta per tutte, senza poter produrre ulteriore disavanzo, «siamo di fronte a un debito sommerso di cui conosciamo solo la parte statale», che non dovrebbe essere superiore a 18 miliardi, ma «della parte che riguarda il debito regionale sanitario e quello degli enti locali esiste un serio problema di identificazione». Che riguarda anche l’ammontare degli interessi che lo Stato dovrà  corrispondere alle imprese per i ritardi: l’eventuale «bolla».
Mentre l’economia italiana si avvita non è chiaro, tanto per fare un esempio, «chi dovrà  pagare i debiti sanitari della Campania», che evidentemente tolgono il sonno più delle obbligazioni contratte da altri centri di spesa periferica.
È anche questo profilo ad aver prodotto l’esigenza di una sorta di operazione verità  sui conti pubblici italiani. Quella che Monti qualche giorno fa ha chiamato «un’operazione di trasparenza del debito delle pubbliche amministrazioni verso le imprese». 
Ma nel governo si ricorda che «solo il 5% dei dipendenti pubblici lavora a Roma nei ministeri», o che la spesa pubblica centrale è stata già  tagliata, con i tagli lineari e il congelamento degli stipendi degli oltre tre milioni di pubblici dipendenti: e questo per dire che il dito è puntato su una spesa periferica che continua a essere, persino agli occhi di Palazzo Chigi, fuori controllo.
Quattro giorni fa Monti è stato chiaro: sul debito delle Pa occorre un’operazione composta da «emersione, pagamento e correzione delle statistiche». E pochi hanno prestato attenzione proprio all’ultimo termine. Ha aggiunto lo stesso premier: «E da quel momento rien ne va plus», con il bilancio pubblico italiano accostato a un tavolo verde da gioco, capace per troppi anni di fagocitare risorse senza trasparenza. Anche contabile.


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