La spallata dei giovani nel voto dell’Europa

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Gli elettori greci, italiani e tedeschi, dopo quelli francesi del primo turno delle presidenziali di due settimane fa, hanno premiato i partiti che si sono opposti con maggiore vigore alla “barbarie dell’austerity”. E se il consolidamento fiscale è inevitabile, lo è altrettanto, se non di più, l’esercizio della democrazia. Il dilemma è come conciliare il rientro del debito con l’esame delle urne, cui per fortuna chi ci governa deve prestarsi. Come sempre, qualche risposta può venire cercando di interpretare questo voto. Tre sue caratteristiche ci paiono particolarmente importanti.
La prima è che la sconfitta dei partiti di governo questa volta è stata decretata dai giovani. Sono stati protagonisti nel voto come nel non voto. I dati Ipsos ci dicono che al primo turno delle presidenziali francesi, Sarkozy ha ottenuto solo il 18 per cento dei voti tra coloro che avevano meno di 24 anni contro il 32 per cento di Hollande; il presidente uscente ha, invece, raccolto più voti dello sfidante tra gli ultrasessantenni (37 per centro contro il 25 per cento raccolto da Hollande). In molti casi l’opposizione si è espressa nel non-voto. Rispetto al primo turno delle presidenziali del 2007, l’astensione è aumentata di quasi 20 punti percentuali fra chi aveva tra i 25 e i 45 anni. Negli altri paesi non sono ancora disponibili dati sulla composizione del voto ai partiti per età , ma ovunque si registrano forti variazioni nel tasso di partecipazione soprattutto tra i più giovani. 
La seconda caratteristica è la radicalizzazione del voto, con una penalizzazione dei partiti di centro e il rafforzamento delle frange estreme, spesso portatrici di messaggi fortemente anti-europei. Anche in questo radicalismo c’è una forte componente generazionale. Secondo le indagini Demos, il Movimento a 5 Stelle è maggioritario tra chi ha tra 35 e 44 anni, attrae consensi fra un quinto degli elettori potenziali al di sotto dei 35 anni, mentre scende al sesto posto e al di sotto delle due cifre di share fra chi ha più di 65 anni. Tra i Pirati in Germania e i seguaci del Fronte Nazionale in Francia abbondano i giovani e i giovanissimi. Anche in Irlanda la nuova fiammata del Sinn Fein è alimentata dagli studenti, a partire da quelli del Trinity College di Dublino. In Grecia ci sono i giovani dietro al successo dell’estrema sinistra (Syrizi) e dei neo-nazisti (Alba Dorata). Sono posizioni estreme e di rottura. Preoccupanti, ma non possono più di un tanto stupire: sono i giovani le vittime predestinate della doppia crisi economica. Ce lo dicono le cifre sulla disoccupazione giovanile ovunque da due a quattro volte più alta di quella degli altri, quelle sulla povertà , che colpisce soprattutto le famiglie con minori, e forse ancora di più quelle sul debito pubblico che continua a crescere e che saranno inevitabilmente loro, quelli che non hanno ancora iniziato a lavorare, a dover pagare. 
Questo voto non può essere liquidato come disinformato e di protesta. È un voto attivo, quasi militante. Ecco la sua terza caratteristica. I grillini, ad esempio, sono mediamente più istruiti di molti altri elettori, come notava Ilvo Diamanti mercoledì su queste colonne. Prevalgono nelle grandi città , dove ci sono più occasioni di confronto e accesso a informazioni. E i giovani sostenitori di questi movimenti radicali anche in altri paesi hanno una loro forma di partecipazione alla vita politica spesso molto più intensa e più attiva di chi vota i partiti tradizionali. Sono attivisti su Internet. La rete garantisce uno scambio in tempo reale ed è molto più democratica, forse fin troppo democratica, nel dare voce a tutti. La rapidità  con cui si reagisce agli eventi spesso prende il sopravvento sulla profondità . Ma c’è molta più partecipazione che tra chi ha formato le sue opinioni politiche su Internet, piuttosto che tra chi ha scelto di votare leggendo i giornali o guardando la Tv.
Queste tre caratteristiche del voto sono fondamentali per cercare di offrire risposte al dilemma del consolidamento in democrazia. 
Alcune risposte devono arrivare dalla politica economica, dal profilo generazionale dell’aggiustamento fiscale e dal ruolo che in questo gioca l’Europa, oggi più che mai percepita come lontana anni luce dai giovani. Un segno tangibile dell’attenzione dell’Europa nei loro confronti verrebbe dall’imporre ai governi di adottare la contabilità  intergenerazionale, in grado di ricostruire come viene ripartita per età  la spesa pubblica e il prelievo fiscale, e usarla nel valutare i programmi di rientro dal debito. Servirà  a orientare le politiche di bilancio verso il futuro molto più della golden rule, che vuole togliere la spesa in conto capitale dal computo del disavanzo nell’ambito del fiscal compact. La golden rule è una regola troppo facilmente aggirabile (ricordiamoci quanto accaduto quando è stata applicata al Patto di Stabilità  Interno) e che premia la costruzione di un monumento rispetto alla spesa per l’istruzione. Bene anche che l’Europa acceleri nella rimozione degli ostacoli alla mobilità  del lavoro, permettendo ai giovani di vedersi riconosciute le loro qualifiche in diversi paesi. Sarà  per loro, che possono muoversi molto di più degli altri, la migliore assicurazione contro la disoccupazione. 
Ma il grosso delle risposte è legato a una questione di democrazia e di rinnovo della classe dirigente, perché è forse questa la domanda più forte che viene dal voto. Anche qui bene che l’Europa, oggi retroguardia nella democrazia, si presenti come apripista. Si potrebbe, ad esempio, abbassare fin dalle prossime elezioni europee l’età  per l’elettorato attivo e passivo portandola al livello del paese con la soglia più bassa, l’Austria, dove si vota a 16 anni e si può essere eletti a 18. 
Ma il grosso delle risposte non può che venire dai singoli paesi. Tagliare drasticamente il finanziamento pubblico ai partiti serve a togliere potere ai segretari di partito che oggi bloccano il rinnovo dei gruppi dirigenti. Inoltre permette anche ai partiti più giovani, che hanno l’organizzazione meno costosa, su Internet, di competere meglio nella contesa elettorale. Il cambiamento delle leggi elettorali può anche essere d’aiuto. I giovani oggi spingono con il loro voto verso la frammentazione del quadro politico. E le proiezioni del voto in Italia ci parlano di partiti che non superano individualmente la soglia del 20 per cento a livello nazionale. Questa frammentazione va contro i giovani perché toglie stabilità , dunque lungimiranza, all’azione di governo. Toglie anche accountability, fondamentale per l’esercizio della democrazia. Non è una vittoria vera quella di Alexis Tsipras che ha ricevuto il mandato per formare il nuovo governo in Grecia, ma ha già  dovuto rinunciare e si dovrà  preparare a nuove elezioni. Mentre è una vittoria vera quella di Hollande in Francia che, dopo che il voto al primo turno non era stato meno frammentato che altrove, è oggi la nuova guida di un paese in cui tutti si devono riconoscere. Il contrasto fra quanto accaduto in Francia o anche nel nostro voto nei Comuni più grandi e l’esito del voto in Grecia ci dice che un sistema maggioritario a doppio turno è la risposta migliore che si possa dare a questo disagio. Vero che il doppio turno rischia di tagliare via le frange estreme, ma proprio per questo le obbliga ad ambire ad essere maggioritarie e le spinge a cimentarsi con potenziali responsabilità  di governo. I giovani in Francia sono andati a votare anche al secondo turno delle presidenziali, scegliendo fra due candidati che dovevano per forza di cose parlare già  ai mercati e al resto del mondo. Questa iniezione di realtà  è un potente diluente della demagogia, anche di quella più esasperata. 
Oggi in Italia anche il Pdl avrebbe tutto da guadagnarci dal passaggio al maggioritario a doppio turno. È questa forse la novità  più importante del voto per noi, quella su cui l’AB, forse più che l’ABC, deve lavorare, mentre il Governo Monti nella spending review interna e in quella da farsi nell’ambito dei piani di rientro del debito a livello europeo può spingere per politiche di bilancio che guardino ai giovani. Gli elettori tedeschi, dopotutto, vogliono punire chi ha vissuto per molto tempo al di sopra delle proprie possibilità , aumentando la spesa pubblica a un ritmo doppio che in Germania. Sanno bene che i giovani greci, irlandesi, italiani, portoghesi e spagnoli non hanno alcuna colpa nella crisi del debito.


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