La salvezza della specie nella nuova Arca di Noè

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NEW YORK – La gazzella rossa del Sahara non la salveremo, il macaco dalla coda di leone neppure. Invece i lemuri dalla criniera bianconera ce la faranno. E l’orso bianco polare? Lui è un caso a parte. Gli zoo americani stanno decidendo oggi quali specie in via di estinzione possono ancora essere protette, quali bisogna invece abbandonare al loro triste destino. I milioni di visitatori che li frequentano ogni anno non se ne rendono conto, ma i giardini zoologici oggi sono diventati la nuova Arca di Noè. È nei loro recinti che si gioca una sfida decisiva per il futuro delle specie animali del nostro pianeta. Qualche biologo animalista, ancora più tragicamente, evoca un paragone con Schindler’s list, cioè una situazione in cui si ha il terribile potere di salvare solo un numero limitato di esseri dalla condanna a morte. Di certo gli zoo hanno cambiato profondamente la loro vocazione e il loro ruolo. 
Ce ne sono 214 negli Stati Uniti, alcuni hanno piccole dimensioni, altri sono attrazioni mondiali e imprese dal fatturato consistente: come il San Diego Zoo che ha un bilancio annuo di 200 milioni; o il National Zoo di Washington che è affiancato da una grande istituzione di ricerca scientifica come lo Smithsonian Conservation Biology Institute. Tutti in qualche modo hanno subito un’evoluzione analoga. Nacquero come luoghi di “entertainment”, per il divertimento del pubblico, e quindi la logica del business era dare spazio alle specie più spettacolari o più popolari. Progressivamente, gli zoo si sono dati anche delle finalità  educative: riempire il tempo libero delle famiglie unendo l’utile al dilettevole, affiancando ai recinti degli animali esposizioni sui temi dell’ambiente. Di recente una terza missione ha conquistato uno spazio tale da diventare quasi prevalente. È la funzione dell’Arca di Noè. Spesso solo gli zoo possono permetterselo, hanno le risorse economiche per organizzare complessi programmi di salvataggio di specie in via d’estinzione. Questo significa una vera rivoluzione. Può cambiare profondamente, per esempio, l’organizzazione degli spazi. Se il giardino zoologico è fatto per il solo divertimento dei visitatori, la “visibilità ” di gabbie e recinti ha la priorità . Ma se invece bisogna creare le condizioni più favorevoli all’accoppiamento e alla riproduzione, gli animali hanno bisogno di spazi più larghi, con relativa privacy e possibilità  di nascondersi dagli sguardi indiscreti del pubblico pagante. Da tempo gli zoo più ricchi d’America hanno fatto scelte drastiche, imboccando con decisione la nuova vocazione. «La nostra società  deve scegliere – ha dichiarato al New York Times il direttore dello Smithsonian Steven Monfort – se sia eticamente opportuno limitarsi a esporre gli animali per divertire il pubblico. Per me quel modello è finito. Il ruolo degli zoo è la preservazione delle specie». Gli esperimenti-pilota furono fatti già  anni addietro con i panda e alcuni rinoceronti, la cui sopravvivenza dipende esclusivamente da programmi di allevamento e riproduzione negli zoo. Ora però questa missione Arca di Noè crea un dilemma nuovo. Bisogna scegliere chi si salverà . 
Quest’obbligo crudele è imposto dalla scarsità  di risorse: non solo economiche, ma anche di spazio. Per gestire efficacemente i programmi di salvataggio delle specie in via di estinzione, bisogna ricreare un habitat quanto più simile a quello originario, e quindi molto più vasto delle gabbie o acquari di una volta. Non c’è posto per tutti. E così i direttori degli zoo di tutta America stanno svolgendo a nostra insaputa il ruolo di Noè: sono loro che decidono chi si salverà  sul pianeta. Jeffrey Bonner, il potente chief executive dello zoo di San Diego in California, è un punto di riferimento per i suoi colleghi. È lui ad aver stabilito che va salvata l’antilope Addra, ma non la gazzella rossa del Sahara. Con quale criterio? Quest’ultima è preziosa, e varrebbe lo sforzo. Ma ne rimangono solo 50 in tutti gli zoo del Nordamerica, un numero insufficiente per offrire un “pool genetico” di dimensioni adeguate. Se il gruppo dei superstiti è troppo ridotto, i programmi di riproduzione sono destinati al fallimento (come per l’incesto tra gli esseri umani, anche tra animali gli accoppiamenti tra parenti stretti producono un deterioramento della specie). In altri casi – come la scelta a favore dei lemuri dalla criniera bianconera contro il macaco indiano – si fonda invece su una complessa valutazione di «utilità  della specie per l’ecosistema». Mammiferi, anfibi e rettili, uccelli, perfino insetti: la lista di specie che stanno scomparendo dalla terra continua ad allungarsi, imponendo selezioni sempre più feroci agli zoo, per concentrare gli sforzi in modo efficace. In un caso si è fatta l’eccezione. «L’orso polare – dice Bonner – in teoria andrebbe lasciato al suo destino. Con i ghiacci che si sciolgono, presto il suo habitat non esisterà  più, quindi il suo salvataggio è un’impresa disperata in quanto non potremo farlo tornare a casa. Però stiamo investendo in un programma per l’orso bianco, a scopo educativo. Voglio che i nostri visitatori lo vedano e si chiedano: come abbiamo potuto permettere che questo accada?».


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