LA RABBIA DI UN UOMO PICCOLO PICCOLO

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È un romanzo perturbante, questo La notte del gatto nero di Antonio Pagliaro (Guanda). Una storia scura, dove nessuno si salva, che non lascia spiragli per far filtrare la luce del riscatto, della possibilità  di resistere al male. 
Siamo a Palermo, oggi. Salvatore, diciannove anni, non è rientrato a casa, ha passato la notte fuori. È la prima volta. Giovanni, suo padre, spera ancora che si tratti di una bravata da ragazzi, ma l’angoscia non lo molla, il cellulare non risponde. La polizia non può cercarlo, «ci fate solo perdere tempo, vi siete litigati in famiglia?». Quando finalmente arrivano notizie, sono drammatiche. Salvatore è stato arrestato, in macchina portava un grosso carico di droga. La vita di Giovanni, la sua routine di semplice insegnante, è travolta. La discesa all’inferno comincia con l’avvocato, che non prende la vicenda a cuore come meriterebbe, ma consuma lo stesso tutti i risparmi del professore. Poi arriva la tragedia e, senza anticipare troppo della trama, perché pur sempre di un poliziesco si tratta, Giovanni, nel tentativo di reagire all’ingiustizia che gli sconvolge la vita, viene risucchiato dal gorgo dove finisce per perdere tutto: lavoro, soldi, moglie e soprattutto se stesso.
Perché lascia turbati questa vicenda? Perché racconta degli ordinari soprusi che si consumano ogni giorno nel nostro paese. Per dire, la situazione nelle carceri, fatta di taciute violenze quotidiane, guardie corrotte, boss che spadroneggiano. O l’errore giudiziario che lascia il cittadino comune inerme nelle mani di un meccanismo indifferente e micidiale. Il romanzo di Pagliaro ci conduce per mano a vedere da vicino come una persona semplice può rimanerne stritolata senza remissione. A conferma della teoria che vede il noir come l’unico genere letterario oggi capace di descrivere la società  così com’è, con uno sguardo realistico, senza ideologismi consolatori.
Ma la “denuncia sociale”, che pure c’è, e potente, non esaurisce la forza della storia. Giovanni Ribaudo, il protagonista, davanti all’assurda iniquità  che lo priva dell’unico figlio, inizia a trasformarsi. Ha subito per tutta una vita, accettato sempre quello che veniva. Ora non è più possibile. A cambiare tutto è l’incontro con un amico d’infanzia, diventato boss mafioso. Il criminale è legato al professore da un vecchio debito di riconoscenza, vuole aiutarlo, lo convince a vendicarsi. Giovanni attraversa il confine della legalità , entra in un mondo che non è il suo, quello della violenza, diventa a poco a poco un “mostro”. 
Il percorso psicologico, l’uomo della strada che diventa “furia assassina” per la perdita del figlio innocente, ricorda molto da vicino Il borghese piccolo piccolo, romanzo degli anni Settanta di Vincenzo Cerami, poi diventato un film diretto da Mario Monicelli con una sbalorditiva interpretazione di Alberto Sordi in una rara evasione dai suoi abituali registri comici. L’obiettivo di Cerami, però, era più “politico”: fare del suo personaggio (anche lui si chiamava Giovanni) il rappresentante tipico di quella piccola borghesia apparentemente bonaria, ma capace di inaudite esplosioni di ferocia. Niente di tutto questo nel romanzo di Pagliaro che segue il suo personaggio con una lingua asciutta, tutta azione e dialoghi, senza mai cedere alla tentazione di giudicare. Ancora, la reazione del “borghese” scattava quando la morte del figlio spezzava tutto il suo sogno di padre che ne aveva disegnato e preparato nei dettagli la carriera e tutto il percorso di vita. Nella Palermo di Giovanni Ribaudo, invece, il male irrompe a travolgere vite che non hanno mai avuto prospettive, nemmeno “piccole piccole”. È per questo che La notte del gatto nero disturba: perché ci parla di un tempo, il nostro, che ha perso la speranza.


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