La Fiera delle novità 

Loading

Che cos’è accaduto nella pratica di questo mestiere, in Francia, da quando vi ho mosso i primi passi venticinque anni fa? Tutti i nostri punti di riferimento vanno modificati: mentre una volta potevamo accontentarci della “pila” in libreria e della pubblicità , ora bisogna inventare qualche tipo di promozione virale per ogni titolo. Più lavoro, più umiltà , meno boria parigina: quanti riflessi da cambiare!
Il mestiere è diventato più competitivo, più completo, più arduo. La sensazione condivisa, in tutti i reparti di tutte le case editrici, è di lavorare sempre di più per risultati sempre minori. Perché questa inflazione controvento? Tutto congiura in tal senso: il fatto che il numero di acquirenti non sia aumentato quanto la produzione, cosa che rende gli autori legittimamente inquieti e frustrati; la burocrazia crescente, moltiplicata dall’ondata del digitale, che cannibalizza un terzo del nostro tempo per meno del cinque per cento del fatturato; la nuova complessità  delle società  di gestione collettiva dei diritti d’autore; le esigenze contraddittorie nate dall’era digitale, che fanno di noi tanti sciatori nella neve farinosa, in difficoltà  a prevedere rocce e crepacci; la “giudiziarizzazione” crescente di tutti gli aspetti della professione; la censura e l’autocensura che ogni giorno inquinano l’esercizio del mestiere. Perché non c’è da ingannarsi: raramente si è tanto denunciata la permissività  di un’epoca e, d’altro canto, raramente l’opinione pubblica è stata tanto normativa e convenzionale, persino nella sua ortodossia dell’eterodossia…
Quanto agli agenti letterari, a poco a poco si sono imposti, anche se ancora in misura marginale. Meglio trattare con agenti realisti che con autori non realisti, si dirà … Il problema è che capita di rado di avere a che fare con agenti realisti! Sono spesso emiplegici: assai mobili sulle cifre, ma paralizzati sulle lettere.
Se il loro ruolo si limita a ottenere per l’autore un anticipo superiore ai diritti effettivamente generati dall’opera precedente, la cosa non è per forza controproducente, a breve termine, per l’autore in questione, però mette in pericolo tutto l’equilibrio del mestiere, poiché ci condanna ad acquistare del fatturato a margine negativo. Tutte le nostre case editrici ruotano su un principio non ufficiale ma evidente di perequazione, o di mutualizzazione dei rischi: gli autori più popolari ci portano l’ossigeno necessario agli investimenti in perdita sulla novità , alla scommessa letteraria a lungo termine, all’esigenza intellettuale a perfusione lenta.
Se gli autori che avevano l’abitudine di darci ossigeno ci soffocano un po’ di più, che accadrà  con i nuovi autori, sempre più esigenti, e sul lungo periodo? È questa dimensione temporale che si trova al centro delle mie preoccupazioni.
Una volta, i “tempi lunghi” pagavano i tempi brevi: il catalogo finanziava il rischio della novità , per lo meno per le case editrici con un catalogo letterario importante.
Oggi, è esattamente il contrario: sulla fine punta d’ago dei tempi brevi dobbiamo finanziare insieme i tempi lunghi del passato ௿½ mantenere il catalogo ௿½ e investire su ciò che speriamo destinato a costituire i tempi lunghi del futuro. Da ciò deriva l’agitazione febbrile cui assistiamo… Come diceva ironicamente Jérà´me Lindon, «l’editoria è l’unico settore che ha risposto a una diminuzione della domanda con un aumento dell’offerta». Io sono arrivato a questo mestiere spinto da un’ossessione per la verticalità : «Ricevere, celebrare, trasmettere», secondo lo splendido motto di Emmanuel Lévinas. Questo naturalmente pone il problema della qualità  dei libri che pubblichiamo, e quello del rinnovamento generazionale dei lettori.
La crescente mancanza di curiosità  della nostra epoca, la sua “divizzazione”, il suo impoverimento emotivo e culturale non possono non riflettersi sul mondo dell’editoria, che cresce nel liquido amniotico della Francia ௿½ e, temo, delle democrazie mediatiche, individualiste e consumiste ௿½ del giorno d’oggi. Abbiamo molti buoni autori, buoni libri, buoni editori, buoni venditori, buoni librai e buoni critici, ma cominciamo a mancare drammaticamente di buoni lettori…
Insomma, le cause di inquietudine non mi sembrano risiedere là  dove le sento indicare più spesso. Non sono fra coloro che, in nome di McLuhan e “the medium is the message”, postulano che la carta garantisca la qualità  del contenuto mentre lo schermo porta con sé la mediocrità  della distrazione: gli editori sono stati i primi a svalutare il contenuto di ciò che hanno accettato di pubblicare sotto forma di libro. Io penso che si debba essere feticisti del contenuto, non del contenitore!
Preferisco testi di qualità  letti su qualsiasi supporto a testi mediocri letti in octavo… Se è necessario fare delle concessioni alla tecnologia per passare il testimone alle generazioni future e badare a conservare una lingua ௿½ e un corpus culturale ௿½ in comune con loro (sperando magari che nascano un giorno autori realmente in grado di produrre un’opera atta a coniugare testo, suono e immagine in un insieme che sia più della somma di questi mezzi d’espressione artistica), io non ci vedo alcuno svantaggio, purché la tecnologia non sia un fine in sé… e impari a essere un po’ meno arrogante. Lo schermo elettronico non ucciderà  la carta più di quanto la radio non abbia ucciso la stampa, o la televisione la radio… Ricordiamo alle Cassandre un semplice dato: nessuna tecnologia fondata sul principio binario dell’informatica è durata più di dieci anni, cosicché risulta perduto tutto ciò che non viene convertito ogni dieci anni nell’ultimo standard. Siamo ben lontani dalla biblioteca di Babele! Al contrario, è ancora possibile consultare manoscritti di venti secoli fa. Chi può fare di meglio?
Quanto ai rischi di “disintermediazione” dell’editore preconizzati dai profeti dell’Apocalisse come risultato di una relazione diretta fra gli autori e Amazon/Google/Apple o altri giganti di domani, neppure questi mi sembrano pertinenti.
Ogni generazione crede di vedere la Storia (dis)farsi sotto i suoi occhi, ma tutti conoscono le astuzie della Storia: ai tempi della corsa all’oro, furono i fabbricanti di badili e picconi a fare fortuna! Fabbrichiamo con cura i nostri badili e i nostri picconi, da bravi artigiani, e lasciamo il miraggio delle fortune effimere ai pionieri di passaggio…
(Traduzione di Alba Bariffi) 
(L’autore è presidente di Grasset e di Fayard)


Related Articles

Protesta al Blue Note, la musica è in sciopero

Loading

Gli artisti chiedono contributi per la pensione e una retribuzione minima: “Vogliamo giustizia”. La mobilitazione è partita dal più celebre club di New York. E già  si allarga agli altri locali

“Editori, sveglia Amazon rischia di farci sparire”

Loading

Boicottaggio dei libri, scrittori che insorgono, rischio monopolio E ora anche in Italia si temono le prossime mosse di Jeff Bezos

LA GRANDE TRASFORMAZIONE

Loading

COSàŒ IL LAVORO DELL’UOMO DIVENTà’ UNA MERCE. Escono gli inediti di Karl Polanyi che sviluppano i temi della sua opera più importante

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment