La corsa all’autoriforma dei partiti

by Editore | 10 Maggio 2012 10:34

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Rata dimezzata, a luglio i partiti politici incasseranno 90 e non più 180 milioni di rimborso elettorale. Questa almeno è l’indicazione della prima commissione della camera che ieri ha concluso l’esame del disegno di legge che riforma il contributo pubblico alle formazioni politiche. Si tratta del famoso testo annunciato a pasquetta da Alfano, Bersani e Casini come reazione all’indignazione seguita agli scandali, soprattutto a quello che riguarda l’uso privato dei fondi pubblici da parte della Lega nord. Quella proposta di legge, modificata di fronte alle prime critiche degli stessi uffici della camera, adesso porta le firme dei due relatori, Bressa del Pd e Calderisi del Pdl. Da lunedì prossimo se ne occuperà  l’aula di Montecitorio.
Tra le novità  approvate ieri, oltre al taglio del 50% dell’ultima rata dei contributi riferiti alle elezioni che si sono tenute tra il 2008 e il 2011 – così come proposto dal Pd – anche la cancellazione dell’obbligo per i partiti di investire in buoni dello stato le «eventuali» eccedenze rispetto alle spese, che nella pratica si sono dimostrate somme piuttosto consistenti. È stato approvato un emendamento del Pd Vassallo che stabilisce che per avere diritto al finanziamento pubblico i partiti dovranno avere almeno un eletto «sotto il proprio simbolo», in questo modo un partito come quello dei radicali che ha imbarcato i suoi parlamentari sotto le insegne del Pd sarebbe escluso. Bocciata invece la proposta che il controllo dei bilanci sia affidato alla Corte dei Conti, resta in piedi la singolare Commissione per la trasparenza composta dai rappresentanti delle alte magistrature, ma se ne riparlerà  in aula. L’ultima novità  riguarda l’obbligo per i partiti che vogliono accedere ai fondi statali di dotarsi di un atto costitutivo pubblico, uno statuto con l’indicazione del tesoriere. Sarebbe una norma anticostituzionale, vista la natura privata delle formazioni politiche così come previste dalla Costituzione, non fosse che la stessa prima commissione della camera ha all’esame proprio la legge di applicazione dell’articolo 49 della Carta. In maniera un po’ schizofrenica, la riforma organica dovrebbe seguire l’intervento sulla parte economica. La procedura è spiegabile solo con l’ansia che ha preso i partiti di dare presto un segno di austerità .
Proprio ieri infatti, dopo anni di false partenze sull’argomento, in commissione si è materializzata la proposta di un testo base per l’attuazione dell’articolo 49. Un articolo che nella sua formulazione stringata – «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» – è il frutto della collaborazione in assemblea costituente tra Lelio Basso, Palmiro Togliatti e Aldo Moro. La nuova legge, in cinque articoli, porta invece la firma di Andrea Orsini, deputato scajoliano (nel senso di fedelissimo di Claudio Scajola, quello della casa a sua insaputa) uscito dal Pdl. Il testo punta a introdurre la personalità  giuridica dei partiti, definiti come «libere associazioni di cittadini che concorrono a determinare la politica nazionale». Viene così previsto l’obbligo di presentare (ai presidenti delle camere) l’atto costitutivo e lo statuto redatti nella forma dell’atto pubblico. La legge prevede anche un lunghissimo elenco di cosa lo statuto debba contenere, si va dai diritti e doveri degli iscritti agli organi di garanzia, dalle procedure interne per l’approvazione delle decisioni alla modalità  di elezione degli organi dirigenti, dalle tutele per le minoranze alle misure disciplinari, dai criteri per la selezione delle candidature alla procedure per modificare lo statuto: insomma tutto quello che i costituenti avevano preferito lasciare alla libertà  di associazione perché, come sostenne Agostino Mortati nel dibattito nella prima sottocommissione della Costituente, «ogni limitazione posta al principio di libertà  costituisce un pericolo».
Tra le novità  del testo Orsini anche la regolamentazione delle primarie. Non saranno un obbligo, ma i partiti che decideranno di farle dovranno passare per gli uffici elettorali del ministero dell’interno.

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