La cassaforte è piena di diamanti

by Editore | 27 Maggio 2012 9:48

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Il corridoio di marmo nero, gli uomini vestiti di nero – quasi tutti ortodossi – distinguibili dai cappelli: neri. I chassidim con le pellicce tonde, con la fedora. Parlano al cellulare, discutono. La fila per salire sui quattro ascensori non finisce più. Quattro orologi segnano l’ora di altrettante città . New York, Anversa, Hong Kong e, naturalmente, Tel Aviv: le capitali dei diamanti, il nuovo oro, il bene rifugio che ora vogliono quotare anche a Wall Street. Si va su con l’ascensore fino al quindicesimo piano, poi giù per una rampa di scale, la porta di sicurezza controllata da uomini armati, una, due, tre sale, un’altra porta blindata con un codice e, di nuovo, un ascensore azionato da una chiave cifrata. Poi giù, giù, giù: fin sottoterra. È proprio qui che dormono i diamanti: in un caveau dalla cupola Liberty sotto la scintillante Fifth Avenue, nelle viscere di un grattacielo di cui per prudenza ci chiedono di non citare l’indirizzo esatto. Altri varchi, altri uomini armati. E finalmente, l’immensa porta blindata che protegge centinaia di cassette di sicurezza: piene di diamanti. Sono pietre da 12, 13 carati che valgono più di un milione di dollari. Collane con diamanti rosa: rarissimi. E tante gemme di taglio minore, ciascuna avvolta in un pacchetto di carta su cui, a mano, sono riportati i carati, il taglio, la lucentezza, il valore.
Tutti conoscono il Diamond District sulla 47esima strada a Manhattan. Ma pochi sanno che sotto il traffico e l’asfalto qui si nasconde un vero forziere. Neppure i gioiellieri e i broker del Diamond Dealers Club, la borsa dei diamanti, sono mai scesi fin qui. La sera, e soprattutto il venerdì, prima dello Shabbat, affidano i loro preziosi a commessi e guardie armate: ciascuno con la propria chiave e il proprio codice.
«I ricchi lo hanno sempre saputo: perché credete che fra i gioielli della corona inglese ci siano tanti diamanti?». Nel suo ufficio dall’altro lato della strada, Reuven Kaufman, il presidente del Diamond Dealers Club, sorride. «Però ora a comprare sono i nuovi ricchi: cinesi, indiani, brasiliani. Per loro sono uno status symbol, ma anche nuovo bene rifugio. Scoperta che noi ebrei avevamo già  fatto durante il nazismo quando i nostri nonni trasformarono tutti i loro averi in diamanti facili da trasportare e nascondere». Ma davvero i diamanti sono il nuovo oro? «Con la crisi l’oro è diventato costosissimo, in dieci anni il valore è aumentato sei volte tanto», spiega Ruggero De Rossi, che la rivista Barron’s ha definito “genio dei bond”. «Bene per chi ha investito allora, ma ora è più complicato accaparrarselo. È successo come con il petrolio, così si ricorre ad altro». 
Da New York a Londra, dalla Svizzera a Israele, sempre più investitori scelgono fondi garantiti da beni “esotici”. Palladio. Argento. E appunto i diamanti. La Borsa di New York si appresta a varare titoli negoziabili come azioni, legati all’indice del valore dei diamanti. E la Sec che controlla Wall Street sta esaminando una proposta per creare il primo fondo basato su diamanti garantiti dalla newyorchese IndexIQ. Che acquisterebbe gemme industriali da un carato da depositare in un caveau di Anversa e fornirebbe valori giornalieri in base alle contrattazioni nelle borse di diamanti del mondo. 
«Certo», ammette Kaufman, «così sarebbe più conveniente investire sui fondi che comprare pietre preziose da noi. Ma non ci credo: i diamanti sono difficili da mettere in un fondo proprio perché sono unici. Ognuno col suo peso, colore, lucentezza, lavorazione. E provenienza». Già . In tanti, oggi chiedono “diamanti etici”: il contrario dei Blood Diamond del film con Di Caprio, insanguinati dai dittatori africani. «Le pietre più preziose», prosegue Kaufman, «sono quelle di New York. Qui abbiamo i tagliatori migliori». Il manager spalanca una porta: dentro, quattro artigiani pachistani intagliano gemme grezze con altri diamanti. Poi le pietre appena lavorate vengono esaminate al computer: se i parametri non vengono rispettati, si rilavorano fino a eliminare ogni imperfezione. 
A New York i prezzi si stabiliscono dal 1931 al Diamond Dealers Club. Le contrattazioni si fanno attorno a tavoli di formica bianca: chi vende da un lato, il gruzzoletto di diamanti di fronte, chi acquista dall’altro. Qui ebrei ortodossi, broker coreani addestrati all’yiddish, grossisti in cravatta e signore in tailleur, invece di stringersi la mano al termine della contrattazione si levano le scarpe e le rovesciano: «Un gesto di buona fede», racconta Martin Hochbaum, direttore del “Club”. «I diamanti sono insidiosi: capita che qualcuno scivoli e si infili nei calzini». Proprio di fronte al suo ufficio c’è la bacheca dei Lost and Found: «Smarrito diamante rosa da 5 carati», «Trovato sacchetto con dentro 3 diamanti». 
I compratori sono soprattutto grossisti. Come David Grossman, storico gioielliere del District: «Qui vanno ancora fortissimi gli anelli di fidanzamento: da 25mila a 250mila dollari. Ma per chi vende non è tempo di grandi profitti. Grazie a internet oggi tutti sanno cosa vogliono e quanto vale una pietra. Ho visto perfino coppie naufragare perché non era “abbastanza” per la sposa». Insomma sono il nuovo oro o no? «Per trasformare in affare un acquisto ci vogliono almeno vent’anni. Ma i diamanti sono comunque unici: non si svaluteranno mai».

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