Kaur, indiana e ribelle uccisa dal marito

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MILANO – Kaur Balwinde è la 58esima donna uccisa da un uomo dall’inizio del 2012. Ma la sua storia fa più notizia, non solo perché aveva 27 anni, un bambino di cinque anni e forse era incinta. Kaur era indiana. A strangolarla è stato suo marito Singhj Kulbir, 36 anni, indiano anche lui.
Perché l’avrebbe ammazzata? I media non riescono a resistere alla tentazione di scomodare lo scontro di culture e così il movente diventa etnico: l’ha uccisa, ribattono le agenzie, perché «vestiva all’occidentale». Peccato che non sia vero, ma la miscela esplosiva tra patriarcato e razzismo è servita. E tutti sono pronti a strumentalizzare la vicenda. Mara Carfagna (Pdl) e la Lega si scagliano contro l’immigrazione, come se il femminicidio sia dovuto non alla differenza di genere ma alle differenze culturali tra italiani e stranieri. Femministe e sinistra, invece, in casi come questo rischiano il corto circuito: chi è il soggetto più debole? La donna o lo straniero? Da che parte bisogna stare? Per una donna bianca è lecito denunciare la violenza dell’uomo nero, condannare non solo il singolo omicida ma anche la cultura arretrata e patriarcale di cui sarebbe figlio? Oppure dietro a questo atteggiamento si cela anche un’inconfessabile paura per il diverso, qualcosa di più viscerale di un lucido ragionamento illuminista?
Il dibattito da sempre è aperto – adesso tutti ricordano Hina, la ragazza pachistana uccisa a Brescia da suo padre perchè era troppo libera – ma per non perdersi conviene tornare ai fatti. Quelli di Piacenza che riguardano Kaur Balwinde, ma allora anche quelli di Salerno, dove proprio ieri un’altra donna (italiana di 53 anni) è stata sfregiata con l’acido muriatico da suo marito (italiano di 57 anni). Lui voleva separarsi, lei no. Anche Kaur non voleva separarsi dal marito che però era geloso. Lei parlava italiano, portava il bambino a scuola, tutti la conoscevano e quando è scomparsa, 15 giorni fa, le mamme del paese sono andate a cercarla. A suo marito questo modo di vivere non piaceva, voleva ripudiarla; forse non voleva un altro figlio o temeva non fosse suo. E Kaur non sarebbe piaciuta neanche alla suocera, un’altra donna venuta per stare vicino al figlio che accudiva il bestiame in un’azienda di Fiorenzuola d’Arda. Lui ha strangolato la moglie e ha gettato il cadavere nel Po, ma quando è stato ritrovato ha confessato.
«Non bisogna più usare termini come orientale e occidentale», è il primo commento di Tiziana Del Pra, presidente dell’associazione «Trame di Terre», il centro interculturale e femminista di Imola che accoglie donne migranti. «La richiesta di libertà  delle donne attraversa tutto il mondo – dice Dal Pra – Le donne migranti sono doppiamente penalizzate. Non dobbiamo avere paura di essere accusate ingiustamente di razzismo se denunciamo anche gli elementi socio-culturali che condizionano queste vicende, ma dobbiamo anche denunciare l’isolamento e la sottovalutazione della condizione delle migranti, discriminate dalle leggi sull’immigrazione e dalla mentalità  di troppi italiani. Femminismo e anti-razzismo devono marciare insieme. Non si può solo dire a queste donne che si devono arrangiare perché tanto al loro paese si fa così. Questo è un nostro pregiudizio. Bisogna combattere il combinato micidiale tra sessismo e razzismo che coinvolge la cultura e la società  italiana». 
Per rendersene conto basta guardare i dati dei femminicidi in Italia. Numeri impressionanti più volte richiamati dai movimenti delle donne come «Se non ora quando». Dal 2005 al 2010 sono state assassinate 650 donne. Altre 128 fino al novembre 2011, a cui vanno aggiunti i femminicidi di questi primi mesi del 2012. Ogni anno il numero sale. Nel 23% dei casi gli assassini sono gli ex mariti o fidanzati, nel 22% sono i mariti, nel 13% conoscenti, nel 12% parenti stretti, come padre o fratelli. L’11% delle donne è stato ucciso dal figlio. E solo il 4% da uno sconosciuto.
La percentuale dei delitti è più alta nel nord Italia (50%), contro il 20% del centro, il 19% del sud e il 10% delle isole. Un dato che stupisce e sembra contraddire lo stereotipo dell’uomo meridionale più geloso e dunque più incline alla violenza. Le spiegazioni di questa disparità  però sono complesse: forse proprio la maggiore indipendenza delle donne del nord scatena più facilmente l’aggressività  dei loro compagni, o forse il dato si spiega semplicemente considerando il fatto che a nord vive la maggioranza della popolazione italiana (e straniera). Dunque anche delle donne. Per quanto riguarda la nazionalità  di vittime e assassini, nel 79% dei casi si tratta di italiane e italiani.


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