Irregolarità in aula sospeso il processo al generale Mladic
L’AJA – Si arena prima ancora di cominciare il processo a Ratko Mladic. Il Tribunale internazionale dell’Aja si è visto infatti costretto ad aggiornare a data da definire il calendario delle udienze contro l’ex comandante militare serbo bosniaco, accusato di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità , negli anni a cavallo tra il 92 e il 95. Alla base della decisione, la ritardata consegna alla difesa di materiale probatorio.
Lo ha annunciato ieri il presidente della corte, Alphons Orie, nel secondo giorno di dibattimento. «L’udienza è aggiornata sine die», ha affermato Orie. Slitta quindi l’audizione, prevista per il 29 maggio, del primo testimone.
Ma vizi procedurali a parte, sono bastati questi due giorni per capire che le prove contro Mladic sono molteplici e schiaccianti e che l’imputato è tutt’altro che pentito. Anzi, ha assunto fin dalle battute iniziali un atteggiamento provocatorio e di sfida nei confronti dei giudici e soprattutto nei confronti delle madri e delle vedove di Srebrenica, minacciate a più riprese con l’inequivocabile gesto che mima il taglio della gola. Anche ieri Mladic si è attenuto allo stesso copione, ridendo e applaudendosi mentre scorrevano le immagini dell’orrore di Srebrenica, costato la vita a ottomila persone.
Secondo Peter McCloskey in presenza di «abbondanti prove» che testimoniano dell’avvenuto genocidio, la procura si concentrerà nel determinare la responsabilità dell’imputato nella sua pianificazione ed esecuzione. Per il Pm, Dermot Groome, bisogna finalmente «dare ai bosniaci ciò che hanno atteso tanto a lungo: la verità sui crimini commessi ai loro danni da Ratko Mladic».
Dalle parole alle immagini. Immagini crude, l’orribile cronologia di una strage annunciata. Foto di cadaveri e video in cui l’accusato e i suoi uomini prima commettono e poi valutano il massacro. Video girati su espressa richiesta dell’ex generale a fini di propaganda. «Offriamo questa città ai serbi come un dono», dice Mladic rivolto alla telecamera poco dopo la conquista di Srebrenica, all’epoca un’enclave protetta dell’Onu. Un documento agghiacciante. Dalla riunione preliminare tra lo stesso Mladic, i rappresentanti dei musulmani e i caschi blu in cui il generale chiede ai bosniaci di arrendersi e consegnare le armi, «Potete scegliere tra sopravvivere o morire». Ai militari serbi che separano gli uomini dalle donne e gli anziani. A Mladic che chiede di essere ripreso per mostrare «il regalo fatto ai serbi» e che poi esorta i suoi uomini a continuare «la vendetta contro i turchi». Per finire con l’ordine di bruciare la bandiera turca che fino a quel momento sventolava nell’enclave.
Era l’11 luglio del 95, poco ore prima che iniziasse il martirio di ottomila innocenti.
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