Investimenti fuori dal Patto
Esentare una parte del debito per investimenti dai vincoli di bilancio per tornare a crescere. È la proposta lanciata dal premier italiano Mario Monti alla «Conferenza sullo stato dell’Unione» in corso, ieri e oggi, a Firenze. Monti parla espressamente di broad band e agenda digitale. Nessuna sovversione dei rigidi principi della disciplina di bilancio – «la Cancelliera Merkel non deve temere proposte italiane contro questi principi» assicura il premier – ma i primi commenti tedeschi non sono incoraggianti. «È sbagliato pensare che le politiche per la crescita abbiano bisogno di soldi», risponde a caldo il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble.
Una risposta, quella di Schaeuble, che guarda all’esito della tornata elettorale francese. La due giorni fiorentina è infatti il primo vertice europeo dopo la sconfitta, in Francia, di Nicolas Sarkozy e, in Grecia, dei maggioritari partiti pro austerity. Il neopresidente francese Hollande è pronto a lanciare la sua «sfida all’austerità ». Ieri ha incontrato il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, oggi il faccia a faccia con il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker, e soprattutto il 16 maggio, all’indomani della sua investitura, volerà a Berlino per incontrare la Cancelliera Merkel. Non ci sarà più nessun direttorio franco-tedesco, ha ribadito Hollande. E non a caso proprio ieri, secondo quanto riportava Bloomberg, il tedesco Schaeuble ha escluso qualunque rinegoziazione del patto di bilancio europeo.
Lo Stato dell’Unione, a voler riprendere il titolo della due giorni di Firenze, non è dei migliori. Il nuovo dogma si chiama Fiscal compact, il patto di bilancio firmato il 2 marzo scorso che ha decretato la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio per i paesi della zona euro. Per l’Italia significherebbe una manovra da 45 miliardi all’anno, per vent’anni. La strada per la crescita, in una Unione stremata dalle politiche del rigore, è stretta. L’esempio greco è sotto gli occhi di tutti.
Di qui la proposta di Mario Monti che, nell’assestarsi dei nuovi equilibri europei, punta a giocare un ruolo di mediazione mettendo sul piatto della discussione, oltre agli eurobond, anche gli investimenti pubblici. Distinguere tra spesa corrente e spesa da investimento nel calcolo del deficit ma con regole strette: «Certo è delicato – dice Monti – non possiamo balzare a una posizione avventurosa in cui diciamo che ogni spesa classificata come investimento sia esentata o guardata con occhio di favore sotto le regole dell’Europa perchè è stato fin troppo frequente che paesi abbiano coperto perdite di compagnie a partecipazione pubblica e le abbiano poi contabilizzate in investimenti. Ci vogliono quindi criteri molto stretti – conclude Monti – che distinguano investimenti ammissibili da investimenti inammissibili». La premessa di Monti d’altro canto non lascia adito a dubbi: «Tra i capi di governo io sono il più sensibile ai principi della disciplina di bilancio e certamente non ho nessuna intenzione di sovvertirli. Spero che gli sforzi che il governo italiano sta facendo in questo momento possano giovare all’Europa e all’Italia per avvicinare la crescita». «Sarebbe paradossale – ha concluso Monti – che per rispettare i vincoli di bilancio gli Stati si rifacessero sulle imprese penalizzandole e distruggendone la capacità produttiva».
«Una crescita solida non può essere basata sul debito», ha ribadito da lontano Angela Merkel, definendo, secondo quanto riportato da Bloomberg, «molto strano il dibattito che vorrebbe la crescita in contrapposizione al rigore dei conti pubblici». Una difesa a spada tratta delle politiche del rigore che trova la sua ragione principale nel fatto che che, come ha spiegato bene ieri su questo giornale Gabriele Patrello, le banche centrali dei paesi «Piigs» risultano pesantemente indebitate con la banca centrale tedesca per un ammontare che è superiore a quello del fondo di salvataggio europeo che si sta approntando.
Un dogma ormai, quello tedesco, incontrovertibile. «La crisi ha chiarito che più disciplina fiscale e maggiore convergenza sono prerequisiti per avere una crescita economica duratura e sostenibile», ha detto a Firenze il presidente della Commissione Ue Barroso. La crisi greca sembra invece dimostrare esattamente il contrario.
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