In Europa «crescono» solo i disoccupati. Giovani, da pagar poco

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I dati di Eurostat relativi al primo trimestre del 2012 segnalano che la situazione è identica sia se si considera l’eurozona (17 paesi) che l’intera Unione (27). Ma naturalmente non è uguale per tutti i paesi. La Germania, pur se di poco (+0,5% rispetto ai tre mesi precedenti, +1,2 su base annuale), continua a crescere, così come i suoi satelliti dell’est (sia i baltici che gli slovacchi) e la Finlandia. La Francia è ferma sulla media zero, perché le importazioni sono cresciute pochissimo a fronte di importazioni più dinamiche. Si consola pensando che almeno ha creato 10.000 nuovi posti di lavoro.
La faccia nera dell’Europa è naturalmente la Grecia, che inanellato un altro trimestre da paura: -6,2% dopo un -7,5 nel quarto finale del 2011, un -5 e un -7,3. C’è da tremare a far la somma (che non è aritmetica, ovviamente). Fuori da questo burrone, la Spagna comunque perde lo 0,4 e l’Italia fa molto peggio con un -0,8 su base trimestrale e -1,3 su quella annuale. 
Nemmeno dall’altra parte dell’Atlantico le cose vanno bene, ma se non altro gli Stati uniti mettono insieme lo stesso risultato tedesco (+0,5) tra gennaio e marzo, e addirittura un +2,1 rispetto all’anno precedente. È poco, certamente, ma sembra un successo clamoroso.
Se questa è la situazione della «crescita» nei paesi avanzati, non poteva certo andar bene quella occupazionale. L’Ocse ha ieri pubblicato un suo studio in preparazione del G20 dei ministri del lavoro, che si terrà  in Messico a partire da domani. Fanno impressione i differenziali tra «prima» della crisi (iniziata nel 2007, ma «avvertita» l’anno dopo) e i dati attuali. Sotto osservazione soprattutto la disoccupazione giovanile, letteralmente esplosa: 11 milioni nei 30 paesi considerati, con un tasso medio del 17,1% (era al 12,4 nel 2007).
Ed è l’Europa ad avere il quadro peggiore. Grecia e Spagna hanno più di un giovane su due senza lavoro (l’età  presa in considerazione è tra i 15 e il 24 anni), con un aumento del 30% e del 33,7 in soli cinque anni. Il Portogallo si ferma al 36,1. L’Italia segue da vicino questi disgraziati paesi, ma li supera quando si prendono in esame i giovani «neet» (che non vanno più a scuola, ma non cercano neppure un lavoro o hanno smesso di cercarlo); ben 23 milioni nell’area Ocse. Nel 2007 in Italia rappresentavano il 18% della loro fascia d’età ; soltanto Turchia, Israele e Messico fanno peggio.
Il problema è gravissimo, ma le soluzioni suggerite dall’organismo internazionali sono devastanti. L’Ocse suggerisce infatti di rafforzare i programmi di apprendistato e formazione professionale, «incoraggiando le imprese» ad assumerli grazie a robuste riduzioni dei contributi previdenziali o ad «agevolazioni salariali». Ma la pressione viene esercitata anche sulle regole del mercato del lavoro, perché si «suggerisce» – e immaginiamo che Elsa Fornero tornerà  confortata dalla sua breve visita messicana – di ridurre le protezioni sui lavoratori «standard» per avvicinarle a quelle dei precari. Non basta, però. Anche i livelli salariali vanno «aggiustati», stabilendone di «minimi» che siano davvero «minimi»; in tal modo, dice l’Ocse, i datori di lavoro non saranno «scoraggiati» se prenderanno in considerazione la vaga ipotesi di assumerli. Un bel posto da schiavo, come fai a rifiutarlo?
In questo brodo di ottime notizie le borse sono naturalmente crollate. Riandare al voto in Grecia, infatti, suona come l’avverarsi delle previsioni di uscita a breve termine di Atene dall’euro, visto che a prevalere – nelle previsioni – dovrebbe essere la sinistra anti-troika. La peggiore piazza continentale è stata Milano (-2,56%); mentre anche lo spread ha ripreso a correre come ai tempi di Berlusconi, raggiungendo di nuovo quota 440 rispetto ai Bund tedeschi.


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